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va3e8920 Dott.ssa Rosanna Pizzo consulente relazionale (counselor), esperto dell'ascolto e della comunicazione e del processo di aiuto alla coppia, alla famiglia, al singolo e all'adolescente.

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Le persone si lasciano convincere più facilmente dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto piuttosto che da quelle scaturite dalla mente di altri.

Blaise Pascal

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Conversazioni sistemiche PDF Stampa E-mail

Conversazioni sistemiche n 4

 

Umberto Eco distingue i testi che vogliono andare incontro ai desideri prevedibili del lettore, i quali presuppongono un analisi accorta di mercato , da quelli che viceversa sono diretti a produrre un lettore nuovo, diverso, i quali, vogliono innescare appunto  una sorta di circolo ermeneutico ( Lui direbbe semiosico) diretto a “rivelare al proprio pubblico ciò che esso dovrebbe volere, anche se non lo sa…rivelare, in altri termini  il lettore a se stesso” perché diventi co-produttore di senso.

La  rivista persegue il  secondo intento: non fornisce infatti risposte preconfezionate, ma spunti di riflessione diretti a scompaginare le ortodossie del pensiero comune,  fondate su una logica che, come diceva Nietzsche, affonda le sue radici nella volontà di potenza,  quindi sorta per controllare e dominare  tutto ciò che  è in-determinato, in-definito.

L’ approccio  fenomenologico ci consente, invece, ritornando “alle cose stesse”, l’uscita dalla logica lineare-disgiuntiva, diretta ad eliminare contraddizioni e paradossi, in nome di un improponibile ordine universale fondato sul principio di identità e di non contraddizione.

Il mondo, dice Seraphita, il personaggio nell’omonimo  romanzo di  Balzac non  procede per linee rette, come nella metafisica, ma per linee curve. Le  linee curve attraversano  tutti gli articoli della rivista, cambiano solo le cornici disciplinari, in cui è comune  l’idea che l’unita di sopravvivenza sia costituita dalla relazione ontologica tra interno ed esterno, tra individuo e ambiente, entrambi definibili una unità a stretta interdipendenza sistemica…“l’interno e l’esterno si compenetrano e si fondono e non possono essere separati, come l’acqua e la farina di un impasto ben riuscito”.((Luca Casadio.)

  Di questa unità ci parla, appunto, Luca Casadio ne ”Il luogo del conflitto:doppi  legami, conflitti e rappresentazioni in ottica sistemica”.  L’esergo, introdotto dalle  parole chiave  paradosso, doppio legame, contesto, cambiamento, rappresentazione,  dischiude già l’orizzonte alla complessità, verso un approccio duale …e non dualistico, quello batesoniano dell’e-e  e non dell’ o- o,… “ siamo parte danzante di una danza di parti interagenti […] la relazione viene per prima, precede”.

La relazione, in questo caso, attraversata dall’epifania distruttiva del doppio vincolo, icastica espressione batesoniana diretta a connotare  relazioni  ad alta valenza emozionale, come quella madre –figlio,  in cui la coesistenza paradossale di messaggi di ordine logico diverso, di tipo verbale e non verbale, rende impraticabile la comunicazione, portando all’implosione di ogni possibile e coerente narrazione del Sé, da parte della cosiddetta  vittima, così denominata solo per comodità di discorso. D’altro canto, viviamo in un mondo narrato, in cui  fra noi e il mondo ci sono le parole e in cui prevale l’ermeneutica della relazione e quindi le attribuzioni di senso di cui investiamo la realtà.

 Ma il doppio legame, è nozione complessa, non riducibile alla patologia psicotica; la definerei una categoria dello Spirito, non semeiotizzabile con gli strumenti della ragione discorsiva che non può spiegare (erklaren) la sua possibile evoluzione in varie forme creative, come l’arte, l’umorismo, il sacro, i riti antropologici ecc.. L’inserimento della voce doppio legame  nei Dizionari della Lingua italiana, potrebbe, forse, far si che esso entri a far parte delle narrazioni non sistematiche del senso comune,  fuori da contesti specialistici, considerata l’ineludibilità  della sua  presenza  nel mondo vissuto?

Concludo, ricordando che l’uomo, come aveva detto Vincenzo Padiglione nel 1987,  tra i primi in Italia a leggere G.Bateson, non può conoscere se stesso se non mediante l’estroflessione del sé, la relazione vitale e personificata con il mondo che abita. L’estroflessione  è la premessa affinché l’uomo possa, nel confronto fra sé e il mondo, riattivare relazioni abduttive, la capacità di costruire metafore, sentirsi duplicato negli altri, legato a un destino che lo accomuna agli elementi vivi dell’universo. (G.Bateson, 1979)


Questo contributo è stato pubblicato nella sezione Conversazioni al numero 4 della rivista telematica "RiflessioniSistemiche" (vedi news)

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Genitori, figli e i nuovi modelli di relazione PDF Stampa E-mail

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Ottavia Penna(1907/ 1986) la siciliana qualunque e la controcultura di genere: appunti di una lettura. PDF Stampa E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cettina Alario. Ottavia Penna. Madre Costituente.

 

  

Storia di una singolare esperienza di vita.

  

Ed.  Di Pasquale

 

 

       Ottavia Penna, (1907/ 1986) la siciliana  qualunque

e la controcultura  di genere: appunti di  una  lettura.

 

 

 

 Ho sempre ritenuto, che la lettura di un libro, dischiuda un orizzonte di complicità tra lettore ed autore, in un processo di proiezioni e di identificazioni, che fa di ogni lettura,  un’esperienza  complessa, in cui si intrecciano e si embricano  interpretazioni e rinvii di senso, in un ineliminabile specchio autoriflessivo.

 Ciò, diventa ancor più vero, se parliamo dell’autore di una biografia,  in cui il gioco dei rinvii, diventa  ancor più inestricabile, fino a diventare una sorta di” circolo ermeneutico”, che si instaura  tra il primo e il suo protagonista, al punto che non è infrequente, che di quest’ultimo, si finiscano per cogliere nuovi sensi, di cui egli  stesso, magari,  non  ha avuto  consapevolezza.

 Che significa?

Significa, che questo saggio, non è su Ottavia Penna, ma attraverso Ottavia Penna, come  già implicitamente ci dice la sua  autrice, Cettina Alario, con i modi della sua narrazione sobria e appassionata,   autoriflessivamente diretta, in quanto è coinvolta, prima di tutto, lei stessa, “con la passione che fa da filtro allo sguardo”, (J. Le Goff) a  raccontarci la  storia di “ una singolare esperienza di vita”.

Chissà, una storia riletta attraverso una biografia, che nel raccontare la “sua protagonista”, probabilmente la rivela a Sè stessa, in questo caso a chi affettivamente era ed è più vicino a Lei, attraverso un rinnovato gioco di rinvii di senso, ricordi, riflessioni, ripensando-La, con essi e attraverso essi ?

Come dice Jung, se“ il pensiero si arricchisce attraverso la relazione”, quale migliore interprete di una vicenda biografica, come quella di Ottavia Penna, se non Cettina Alario, da sempre impegnata nel sociale, non casualmente, presidente dal 2008 dell’ASSOCIAZIONE Ottavia Penna, con lo scopo di contrastare tutte quelle forme di violenza nei confronti delle donne e dei bambini, di cui la Nostra fu un alfiere indomito?

In questa cornice di senso, infatti, l’autrice,  parlando anche di sé stessa e del suo mai concluso impegno, proprio nel sociale, ha tracciato, senza retorica e senza enfasi, il profilo di questa donna dell’Assemblea Costituente, ( in un momento in cui la presenza femminile era limitata a sole 21 unità, contro 556 uomini) la prima donna parlamentare di Caltagirone, (nell’immaginario collettivo condizione assimilabile a quella di un uomo) eletta per la Costituente, nelle fila del “Fronte dell’Uomo Qualunque”, con 11.675 preferenze, che le riservarono i suoi concittadini.

Partecipò ai lavori della Costituente, da Marzo 46 al dicembre’47, con un atteggiamento impavido, diretto, con grande fierezza, a contrastare, come rivela la sua corrispondenza con personaggi politici, peraltro molto autorevoli del tempo, come lo stesso Alcide De Gasperi, nel gennaio 1948, quella cultura, del potere-sapere, diretta a produrre dispositivi, funzionali a corpi docili, disciplinati per genere:maschile e femminile.

 Come dice Michael Foucault, la connessione tra sapere e scienza produce forme di dominio, microsistemi di potere. Infatti i saperi forti, dalla medicina alla psicoanalisi, dall’antropologia alla linguistica fino all’etologia, condizionano e quindi esercitano un particolare potere sulla definizione di sé degli individui e sulle loro autorappresentazioni.

 Una grande intuizione, sul fatto, che un vero e proprio comportamento naturale non esiste e che qualsiasi azione porta l’impronta della cultura

 Il libro tra biografia e storia, con garbo, ma anche con grande rigore metodologico, (sono riportati  significativamente  molti atti documentali, attinenti gli scambi epistolari tra la Penna e personaggi politici significativi del tempo) ripercorre attraverso anche una iconografia familiare, l’apprendistato umano e politico-sociale  di questa aristocratica del secolo scorso..

 Era nata a Caltagirone nel 1907, aveva studiato le nozioni elementari, come si usava per i rampolli dell’aristocrazia, con istitutrici, in casa; poi in collegio a Poggio Imperiale  a Firenze  e gli studi superiori a Trinità dei Monti, a Roma.

Tornata al suo paese, aveva sposato il dottore Filippo Buscemi, un medico molto noto e stimato, spezzando la tradizione, anche della sua famiglia, considerato che i genitori erano entrambi titolati, che voleva i nobili sposati tra di loro

Alla fine della guerra, nonostante la sua forte fede monarchica, fu conquistata dalle idee "innovatrici" di Guglielmo Giannini, (1891/ 1960) giornalista, politico, scrittore, regista e drammaturgo italiano., personalità molto complessa, di grande potere carismatico, nonostante avesse frequentato solo le scuole elementari, cosa di cui si vantava, che in quegli anni  aveva fondato il giornale e un partito “L' Uomo Qualunque.”

Scriveva commedie, rappresentate con successo, da attori di spicco,come Ermete Zacconi, aveva inventato una delle prime riviste di cinema, Kines, sue erano le didascalie nei film di Charlot.

Repubblicano ed europeista, Giannini, dissacrava i rituali di Montecitorio, al punto che minacciò una volta  di intonarvi canzone napoletane.

 Qui è necessaria una precisazione, al fine di evitare malintesi fuorvianti inerenti il concetto di qualunquismo, che è complesso, in quanto è da intendere, per contrapposizione e in un certo senso, per paradossi, rispetto agli effetti che finì per determinare, ben lontani dagli intenti del suo fondatore, vediamo perché.

Il termine deriva da quale e dal suffisso generalizzante unque.

 In questo caso, nella sua funzione di aggettivo  qualificativo, qualunque  allude a persona che non si distingue, come tanti, come  tutti.

Ma, detto concetto va inteso per contrapposizione, ma anche per paradossi, come vedremo. Per contrapposizione, perchè nel giornale suddetto,  significativamente nella U, vi era disegnato un torchio, che schiaccia una piccola immagine di uomo:una metafora evocativa della classe politica, che schiaccia e opprime il piccolo borghese, il travet, l’uomo qualunque.

 Per paradossi, perché, pur essendo un partito, paradossalmente contestava i partiti, i sindacati, lo Stato, credeva di poter ingenuamente tutelare gli interessi del singolo, in quanto, i politici rappresentavano la truffa istituzionalizzata di una oligarchia di potere, contro gli uomini qualunque, privi di ogni potere.

 Propugnava l’idea di formare un governo di tecnici, uno Stato amministrativo, contro il governo dei politicanti, suscitando violente reazioni da parte di tutti i partiti politici.

In realtà, il pericolo del qualunquismo e quindi la sua degenerazione, era rappresentato dalla contestuale apertura alla manipolazione, alla demagogia di falsi retori, in grado di presentarsi come tribuni del popolo, ma anch’essi eterodiretti da poteri forti.

L’uomo qualunque non è preparato ad affrontare un contesto così complesso, perché privo di una vera cultura, tale da consentirgli una critica accorta nei confronti di chi lo manipola e da cui non è in grado di difendersi, in quanto un uomo senza discernimento,”Un uomo senza qualità.”(Carlo Galli,Repubblica,30 gennaio 2011)

Quando la sua parabola si concluse, come osserva l’articolo che gli ha dedicato Repubblica del 30 gennaio 2011,“incontrò la più crudele damnatio memoriae, cioè la condanna della memoria, una sorta di muro contro ogni ricordo che lo riguardasse, a parte un libro della storico Sandro Setta (Laterza 1975).

Vorrei fare una digressione, per rammentare questo istituto del diritto romano, per la carica simbolica, oltre che normativa, cui rinvia e che forse oggi, visto il malcostume politico che attraversiamo, andrebbe reintrodotto.

 Nell’antica Roma, esso rappresentava una sanzione prescritta dal Senato  ad un politico importante(maiestas) consistente nell’abolitio nominis.  (cognome)  

Il  praenomen  (il nome proprio) del condannato non si sarebbe tramandato in seno alla famiglia, anzi,  sarebbe stato cancellato da tutte le iscrizioni. Tutti i simboli che lo riguardavano come immagini e statue venivano distrutte. Inoltre con voto del Senato, a volte, seguiva la rescissio actorum, ossia, la distruzione di tutte le opere realizzate dal condannato, nell'esercizio della propria carica, poiché era ritenuto un pessimo cittadino.

Se tale atto avveniva in vita, allora, dal punto di vista giuridico, esso rappresentava una vera e propria morte civile.

Sarebbe auspicabile, come ho già detto, che la damnatio memoriae, venisse reintrodotta nel nostro diritto, per reati gravi, anche in via non definitiva, come corruzione, mafia, concussione, peculato.(vedi pag su Facebook)

Ritornando all’incontro tra Ottavia Penna con Guglielmo Giannini , è facile immaginare, la presa di quest’ultimo, sulla pasionaria aristocratica, amante della legalità e della giustizia, ma anche dotata sicuramente di uno spirito dissacratore ed innovatore, che Gabriello Montemagno ha definito, con una bella immagine icasticamente rappresentativa, la giustiziera della notte, nell’articolo “La Siciliana della Costituente”, La Donna Qualunque, che puntò al Quirinale, che le ha dedicato su Repubblica di Palermo del 29/9 /2009, alludendo e rievocando, anche attraverso il libro in questione, al suo impegno nel sociale, diretto ad aiutare  i poveri e gli emarginati.

Egli racconta, come durante l’ultima guerra, di notte, furtivamente, la giovane e bionda baronessa raggiungeva le campagne del calatino e munita di un affilato coltello, tagliava i sacchi di grano, che i baroni della zona destinavano al mercato nero.

Prelevava, anche, dalle proprie fattorie, carne macellata e la portava ai poveri e agli indigenti.

Così, la baronessa, con un coraggio, che una cultura di genere definirebbe al maschile, sfidava il controllo della polizia, in un  momento che il cibo veniva razionato con la carta annonaria

Una vicenda umana singolare,  che ha segnato la nostra storia, tra la fine del Fascismo e la nascita della prima Repubblica, e non solo quella al femminile, concetto importante questo, che da solo, però, sarebbe riduttivo, talmente singolare,  che  potrebbe veramente  rappresentare lo spunto per un Romanzo di Formazione. (romanzo, racconto)genere letterario,come sappiamo, nato in Germania con Goethe e il suo romanzo Wilhem Meister, diretto a seguire l’evoluzione e la crescita di un personaggio, dalle origini alla maturità, fino all’età adulta, per raccontarne attraverso un peculiare apprendistato alla vita, emozioni progetti, illusioni, passioni, da  una particolare prospettiva interiore.

Ma un romanzo di formazione, che  a differenza del Meister di Goethe, il quale rinvia ad un’idea pedagogica di educazione diretta al raggiungimento di una maturazione, come momento in sé concluso, in cui tutto va bene, va a posto, una volta per sempre, come se non ci potessero più essere conflitti, incertezze, trasformazioni, quì pensiamo ad un”Romanzo di Formazione moderno” in cui, una formazione così intesa è impensabile,  in quanto si verifica  solo nelle favole, in cui …”tutti vissero felici e contenti.

Bisogna sempre rammentare, che l’idea di vita, di esistenza, si coniuga  solo con il movimento e  il cambiamento, per quanto doloroso, mentre la fissità, la staticità di ogni situazione, allude all’idea di paralisi e morte. Quindi una formazione che può avere anche un epilogo non felice. 

 Infatti, Ottavia Penna conclusa l’esperienza della Costituente, tradita dal comportamento del suo leader Giannini, abbandona con grande amarezza la politica, la gestione della cosa pubblica, il 30 ottobre 1947, insieme all’onorevole Castilia, dicendo testualmente, che la politica per lei era“ un libro chiuso”, d’altro canto, è pur vero, come dice JUNG che”Lo sviluppo della personalità è una fortuna che si può pagare a caro prezzo.

La nota scritta, riportata nel saggio, in cui vi si legge lo sdegno e il dissenso vissuto da Ottavia Penna, nei confronti di Giannini, che sicuramente voleva essere il testo di un intervento, fa intendere, chiaramente, con quale fierezza e determinazione, la medesima difendeva i suoi ideali di giustizia e libertà.

Una  pasionaria idealista, femminista ante litteram, ma nel senso di volere contrastare l’imperante cultura di genere, come ho già detto, la biopolitica dei corpi, avrebbe detto M. Foucault, quel potere cioè che  da forma ai corpi degli individui e alle loro autorappresentazioni, produce realtà e saperi, modella conoscenze e comportamenti.

Ottavia Penna, con forza e con grande determinazione, ha dimostrato attraverso il suo tormentato apprendistato, di essere all’altezza di fare,.. come gli uomini,  per difendere i diritti dei deboli e degli emarginati e la parità dei diritti tra uomo e donna, non apertamente detto nel libro, ma sicuramente lasciato trasparire, attraverso i messaggi indiretti veicolati dalle sue stesse parole,….testualmente  Bisogna contrastare l’ideale maschile. Noi donne dobbiamo difendere la nostra categoria, perché in caso contrario gli uomini avanzano. Le donne devono avere gli stessi diritti degli uomini, visto che siamo esseri eccellenti”(pag.44)

In questa frase è racchiuso, forse, il significato di un impegno,  legato al profondo rifiuto per la condizione femminile, e quindi per i ruoli di genere, già introdotto, a quanto sembra, dalla madre di Ottavia Penna, forse lei stessa in crisi, insofferente al dover essere, inscritto nella concezione del Femminile del suo tempo, come lascia intravedere il saggio, nelle “Considerazioni finali”.(pag 108)

Il saggio, infatti, suggerisce, anche, alcune considerazioni o per meglio dire alcuni interrogativi, a cui è difficile dare risposte, che, solo, può dare, chi è stato a Lei vicino, e forse solo oggi, rielaborando e riscrivendo una storia con altre e nuove attribuzioni di senso, per restituire agli eventi, un più ampio respiro.

Noi, possiamo solo interrogarci, sul fatto, che, forse un impegno eccessivo, fondato sulla  passione, che se da un lato fa da filtro allo guardo, dall’altro ne riduce la portata, l’ampiezza, perché il desiderio, che la sottende, si sa, ne offusca l’orizzonte, creando aree di confusione e di sovrapposizione, che, forse, hanno finito per rendere meno pregnante, verosimilmente, la quotidianità  dei suoi affetti familiari.

Non lo sapremo mai, se non ponendo interrogativi, a cui ognuno troverà la sua risposta, la sua verità.

D’altro canto, parliamo di una  formazione, che avviene  attraverso il principio di trasformazione, in cui, il senso del racconto è dato dalla sua narratività, che significa apertura di senso, per la costruzione di altri sensi, come processo aperto, provvisorio, instabile, che apre nuovi punti di partenza, che possono aprire ad altre riflessioni, una sorta di poiesis, di processo creativo, mai concluso,…perché ogni formazione, come raggiungimento di un paradiso edenico, è impossibile, come ho già detto,….in quanto essa non finisce mai .

Credo, che l’invito al lettore di questo libro,  significativamente connotato, dal suo titolo “OTTAVIA PENNA Madre Costituente. Storia di una singolare esperienza di vita,”voglia, proprio, essere, quello di tipo abduttivo,  che muove, quindi, per somiglianze e connessioni, come tale, diretto ad una lettura del “come se” …di  un Romanzo di Formazione, in cui  la meta, non è data dal raggiungimento di un utopistico ideale di perfezione, ma dalla capacità, di saper cogliere quegli aspetti di narratività, come aperture di senso, dirette, non solo, ma anche, al  disassoggettamento dalla cultura di genere, di cui, ante litteram, aveva già tracciato il difficile sentiero,  Ottavia Penna.

Non possiamo non ricordare, in proposito, il poeta Ugo Foscolo, quando ci rammenta nei “suoi Sepolcri che ”…..”A egregie cose il forte animo accendono  l'urne dei forti, o Pindemonte.”

 Cettina Alario, fondando insieme ad altre donne di Caltagirone l’Associazione, che ne porta il nome, ha voluto, a mio avviso,proprio cogliere quegli aspetti di narratività insiti nella vicenda umana e politico-sociale, inaugurati da Ottavia Penna,  per proseguirne il mandato, aprendo  altri e nuovi percorsi   formativi, che per essere tali, non potranno mai concludersi. …

A questa  lettura  speciale è diretta questa biografia, perché ” i fatti sono storie interessantissime, ma non molto di più”, sono, piuttosto le interpretazioni, attraverso le categorie estetiche dell’intuizione, che sole possono restituirne il senso,…che i fatti per sé stessi non potranno mai possedere.

Quanto detto, ricordando, sempre, che l’intuizione estetica si fonda sull’ordine della comprensione, (verstehen) che attiene le Scienze dello spirito, il cui oggetto non è il dato, ma il vissuto, che ”non è un fenomeno dato attraverso i sensi come riflesso del reale nella conoscenza , ma una connessione vissuta dentro di noi”.(W.Dilthey)…quella connessione necessaria, per poter narrare nuove storie, ancora, attraverso Ottavia Penna.

 

 

 

 
Adolescenti e adulti oggi, tra scuola e famiglia:una relazione difficile? PDF Stampa E-mail

 

                                                                  

 

 

                                                                                     

 

 

 

                                                                   

                                                                     

Non puoi avere, nello stesso tempo, gioventù e coscienza di essa;

giacché la gioventù è troppo impegnata a vivere per esserne cosciente,

e la coscienza è troppo impegnata a cercare se stessa per vivere.

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Gibran, Kahalil Aforismi (sabbia e spuma), Newton Compton, 1993, p. 85.

 

 

Il disagio giovanile è una delle problematiche più gravi che in questo  momento affliggono l’Italia, come d’altro canto il resto dell’Europa.

 Avvertiamo, si ritiene un po’ tutti, un senso di smarrimento, di malessere, di solitudine e purtroppo anche il senso di un cupio dissolvi (letteralmente desiderio di morire. Espressione che deriva da una frase biblica, espressa da san Paolo nella lettera ai Filippesi) che spesso non tarda ad esitare nei giovani in comportamenti autodistruttivi.

 Viviamo in un epoca dominata, da quelle che il filosofo Baruch Spinoza, chiamava  nella sua  Ethica, le “passioni tristi”, a cui corrisponde il profondo malessere derivante da un senso  di incertezza, di impotenza ,in cui il mondo, in particolare per i giovani, diventa in-comprensibile, straniante, come vissuto da un altro…..

 Purtroppo, questo sentimento decadente della vita, che  attraversa spesso l’adolescenza,   certamente ha il suo fascino, a patto da non farsi immobilizzare dallo sguardo di Medusa, che dimora in quell’aldilà della psiche dei giovani,  il mostro dai connotati femminili, che Perseo, eroe depositario della razionalità, fu costretto a decapitare, per riuscire a bloccarne l’effetto malefico. “ Fissare Medusa è perdere nel suo occhio, la vista, trasformarsi in pietra dura ed opaca. Per il gioco dell’incantesimo, colui che guarda è strappato a sé stesso, privato del suo proprio sguardo, investito e invaso della figura che lo fronteggia” [1]

 Ma, non sempre, il giovane adolescente riesce  a trasformarsi in un Perseo, perché gli adulti lo hanno lasciato solo, tant’è, che in Italia, il suicidio è la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali, per i giovani maschi tra i 15 e i 24 anni, inoltre, il  tasso del suicidio giovanile è cresciuto del 13%, arrivando ad interessare 76,7 casi su un milione, con un aumento significativo, nella fascia 15-19 anni.

Alcuni dati dimostrano, che il 10% degli adolescenti,  che hanno tentato il suicidio, morirà di morte violenta nell’arco di 10 anni.

Come dice il professor Umberto Galimberti, bisogna evitare che i giovani si sentano stranieri nella loro vita, (in Italia, ogni giorno due giovani si tolgono la vita, mentre dieci tentano di farlo) in un momento, in cui il timore che essi  vivono, oscilla “tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire ad essere ciò che si sogna”.[2].

Pare, che i soggetti più a rischio di dipendenze e di pluridipendenze di vario genere, (droghe, alcol ecc..) siano i maschi tra i 15 e i 24 anni, ma il fenomeno è in crescita, anche tra le femmine, appartenenti alla stessa fascia d’età.

Nel 2005, in Italia tra 27000 detenuti, il 25% era rappresentato da giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Inoltre, nello stesso anno  i minori che avevano  commesso un reato, erano ben 21.600.

Tra gli adolescenti, ci informano i mass media, sembra essere sempre più diffuso il fenomeno del bullismo, praticato in gran parte dal genere maschile, ma non solo, infatti,  a giudicare dai fatti di cronaca, esistono anche casi di bullismo al femminile.

Non ultimo, in queste scene di disagio, troviamo ampiamente rappresentati, disturbi di tipo alimentare(anoressia , bulimia) tra le adolescenti, ma anche tra le giovani donne. 

Uno scenario cambiato, le cui responsabilità sono complesse, bisogna solo cercare di contestulizzarne il senso, non commettendo gravi errori di ordine logico, con letture scontate e semplicistiche, che ci porterebbero lontano da una reale comprensione del fenomeno, dimenticando che la posta in gioco è veramente alta, in quanto gli adolescenti di oggi saranno gli adulti di domani.

Uno degli errori più devastanti, riteniamo, sia  quello di ricorrere ad una chiave di lettura, diretta a patologizzare il normale attraversamento di un ciclo vitale, quando ovviamente non necessario, qual è l’adolescenza, senza interrogarsi su questioni molto più profonde, legate ai mutamenti epocali, di cui in breve cercheremo di fissare alcune questioni portanti.

Prima fra tutte, ci preme sottolineare, alcune differenze, che riguardano i rivolgimenti, che la famiglia ha subito, a livello organizzativo, simbolico, psicologico.

Siamo passati dalla generazione nata negli anni cinquanta, il cui modello era di tipo autoritario, parsoniano, per intenderci, in cui i ruoli erano chiaramente definiti e in cui la madre rivestiva un ruolo  fondato sull’accudimento dei figli e il padre un ruolo esterno, fondato sull’occupazione lavorativa, in cui si iniziava, però, già ad entrare in risonanza con le esigenze dei figli, cominciando a rivedere i modelli educativi precedenti, troppo rigidi, mantenendo, pur sempre, l’autorevolezza genitoriale.

[3]

 Negli anni 70 /80 si profila il modello della famiglia negoziale, caratterizzata dalla continua negoziazione nel  rapporto tra genitori e figli, in base anche  all’età di quest’ultimi.

 Un modello educativo debole, che ha minato l’autorità genitoriale,  fino al fenomeno cosiddetto della” famiglia lunga”, dove la permanenza dei figli nel nucleo familiare, qualcuno li chiama bamboccioni, si protrae, fino a che la convivenza tra generazioni di adulti, porta alla negoziazione tra pari, di tipo, quindi, simmetrico ed ovviamente alquanto difficile e spesso conflittuale.

Infine, il modello attuale di famiglia, è quello che Gustavo Pietropolli Charmet, psicoterapeuta ed esperto di disagio giovanile, definisce famiglia affettiva, in cui, la dissoluzione delle regole, è stata sostituita dall’idea che regole e principi servono poco, viceversa la relazione genitori- figli deve  reggersi sul principio “ di farsi obbedire per amore e non per paura.”[4] I rapporti così sono diventati amichevoli, tra pari, con la definitiva dissoluzione di.regole  e metaregole dirette a stabilire obblighi e gerarchie di ruolo.

 Le finalità della famiglia affettiva sono quelle di costruire figli felici, evitando al massimo la sofferenza, che in realtà sappiamo bene, come essa sia, di fatto, compagna ineludibile del nostro vivere , finchè Atropo, che non può essere dissuasa, “taglierà quel filo, che ci lega alla vita.  Un’idea impraticabile e fuorviante

Eugenia Scabini, Preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica S. Cuore, di Milano,  sottolinea, inoltre, e questo è un dato molto interessante,che il modello attuale di famiglia, oltre ad essere affettiva, è anche di tipo generativo, nel senso tipico della postmodernità e cioè, che la coppia è forte, poiché il figlio è attualmente istituente la famiglia.

In altri termini, quando il figlio istituisce la coppia, sia in senso psicologico che simbolico, il mantenimento  del rapporto coniugale si fonda sulla presenza del figlio. Non a caso, molte coppie di fatto legalizzano la loro unione, al l momento della nascita di un figlio

 Il paradosso, alla fine,  è  rappresentato da una indissolubilità della coppia, originata dalla filiazione , con la conseguenza di  creare una relazione, dalla quale non si può uscire, non potendo  più desituarsi,  e per ovvi motivi, dall’essere  ex genitore, o ex figlio.

Questi, in breve, sono  alcuni aspetti fondativi della famiglia oggi,  in cui si muovono gli adolescenti, aspetti, ovviamente  gravidi di conseguenze a livello relazionale, affettivo, simbolico e psicologico.

 Infatti, non sono infrequenti in queste famiglie,  invischiamenti,   triangolazioni, (coalizione tra due membri appartenenti a due generazioni diverse  contro un altro membro, per es. la coppia anomala, madre- figlio contro il padre) confini sfumati tra i membri della  famiglia., in cui è impossibile individuarsi.

 I figli  sono diventati un valore assoluto, adultizzati, quando non parentizzati, cioè costretti a sostenere loro, le crisi esistenziali e le fragilità dei genitori in un disastrosa inversione di ruoli.

Così, i genitori danno senso alla loro vite, solo attraverso i figli, in una reciproca dipendenza, in cui quest’ultimi non riescono a distaccarsi, perché finiscono per rappresentare l’ancora, che deve esorcizzare il malessere di invecchiare. dei loro cari..[5]

Ma le relazioni sane , richiedono un processo di diversificazione , un percorso verso quella che Jung chiama il processo di individuazione, quel processo cioè, che ci aiuta a diventare “un essere singolo, intendendo noi per individualità la nostra più intima , incomparabile e singolare peculiarità, diventare noi stessi, realizzare il proprio Selbst(Sé)….Ma il Sé comprende infinitamente di più del semplice io . Esso è tanto l’uno o gli altri che l’io. L’individuazione non esclude il mondo, ma lo include”[6]

 Il concetto é semplice: la "normalita`" è un costrutto, un concetto puramente statistico. La natura è basata sulla diversificazione, non sull'omologazione. Più gli organismi viventi sono complessi, più si distaccano dal concetto di omologazione. Eppure, incredibilmente, la nostra società insegue il mito della "norma" come fosse il massimo bene possibile. L’esito qual è?

 L’esito è sotto gli occhi di tutti ed è dato dal  dilagare di un esasperato conformismo, quello che in modo mirabile ha rappresentato nel 1983, nel film Zelig, Woody Allen attraverso appunto  Leonard Zelig, un normopatico affetto dalla patologia della normalità,  o da quella che Moreno connotava come robopatia, estrema forma di perdita dell’identità e quindi dell’incapacità di abitare il mondo come soggetto, se non all’interno del più vieto conformismo, l’unico in grado di fornire  sicurezza.

I fatti tragici di cronaca, cui assistiamo ogni giorno,  compresi i fatti di Avetrana, ci dicono che la banalità del male alligna tra gente cosiddetta perbene, insospettabile, normopatica, direi, …lavora alacremente, ha una vita sociale, un piccolo gruzzoletto,  e poi…? Purtroppo le agenzie educative, prima fra tutte la famiglia e poi la scuola, attuano le pratiche per castrare la diversificazione naturale dei bambini, in modo da portarli verso l'ideale, malsano, dell'omologazione. D’altro canto,”Quando a dire la verità è il bambino, accade l’incontro sempre sgradevole tra l’adulto e la sua ipocrisia”.[7]

Polli di allevamento, diceva  Gaber.

Non sarà certo tornando indietro, cioè negando l’attuale processo evolutivo dei rapporti genitori -figli e imponendo, ex abrupto, paletti e regole severe, che si potrà uscire dall’impasse.

Per esempio, in proposito, non si può non fare i conti, con il fatto, di cui forse non si ha consapevolezza, che i giovani hanno completamente mutato la loro relazione con l’istituzione scolastica,  alla quale, come dice il prof. G.Pietropolli Charmet, già citato , non riconoscono un significato simbolico e istituzionale, bensì il significato di servizio o di centro di socializzazione  e di scambio culturale.

 Di converso, però, i docenti si sentono privati della rappresentazione che essi hanno del loro ruolo in termini di autorevolezza del potere adulto, loro conferito dall’istituzione che rappresentano, anche nell’immaginario collettivo,  e delle tradizioni culturali del Paese, con la conseguente chiusura alla nuova proposta relazionale dei giovani.

La conseguenza qual è ?

Il corpo docente interpreta la richiesta degli allievi come sintomo di una grave demotivazione e disinteresse nei confronti dell’apprendimento, a parte una totale ed arrogante mancanza di rispetto per l’Istituzione Scolastica.

Questo è un grosso problema, di cui forse non si è compresa la portata,  e cioè che per i giovani, oggi, il ruolo di studente, non esprime più le loro passioni, infatti, come giustamente osserva il Prof Pietropolli Charmet, essi  guardano alla scuola come una faccenda di scarso interesse emotivo.

Alla fine, la richiesta alla scuola  fatta dai giovani è quella di implementare e strutturare un approccio educativo nei loro confronti diverso,  accogliendo con competenza la loro vita affettiva, relazionale e di produzione creativa.[8]

La scuola non ha capito, che per educare, non basta istruire.

 Purtroppo, concordo con il prof. Umberto Galimberti ,quando dice che la scuola si fonda sull’idea distorta che hanno gli insegnanti rispetto alla loro mission, (locuzione inglese e che com’è noto allude alla  missione o scopo di un'organizzazione, la sua "dichiarazione di intenti" quindi il suo scopo ultimo, la giustificazione stessa della sua esistenza, e al tempo stesso ciò che la contraddistingue da tutte le altre.) che è quella di essere pagati per istruire, ma non per educare..

La mission –missione, dal lat missio, missionis, che significa invio,  pur essendo  una locuzione carica di intenti simbolici, anche per ‘la sua origine teologica , in quanto allude  alla diffusione  della fede cristiana, tramite l’invio di sacerdoti-missionari presso comunità di  miscredenti, (dal greco απόστολος, apóstolo: significa  'inviato'  infatti missione è la traduzione latina di apostolo)poco però si attaglia al  contesto scolastico, in quanto viene ridefinita come trasmissione spassionata, (sì, proprio così spassionata.! ) quando non stanca, di nozioni estrapolate dalla storia della cultura, dopo averle rese asettiche da qualunque risonanza psicologica, emozionale, sentimentale, testualmente “in modo che la scientificità del sapere non sia compromessa da queste scorie umane.”[9]

Mi chiedo, e chiedo , è possibile una missione  senza passione?

 Il termine missione, anche spogliato dal suo significato religioso, considerato che all’origine il termine alludeva ad  una fede da diffondere,  partecipare e condividere, come ho già detto, non necessariamente, in questo caso, di tipo religioso, non rinvia forse ad emozione, partecipazione compromissione, condivisione  con l’altro.?

Quindi, se il sapere privo di emozioni, diventa lo scopo e il profitto, il metro per misurarlo, la scuola ha fallito, (altro che mission!,) perché livella, quando non mortifica soggettività nascenti “in nome di un presunto sapere oggettivo che serve a dare identità più ai professori che agli studenti in affannosa ricerca”.[10]

..…”E’la passione che fa da filtro allo sguardo” ha detto Il medievista Jacques Le Goff”.e   senza passione non c’è vita..

Sigmund Freud, l’aveva intuito, oltre cento anni fa, che il desiderio è il fondamento dell’apprendimento, quello che segna l’accesso alla cultura, attraverso il concetto di sublimazione della libido. Una sublimazione che avviene,  quando il bambino passa, da una posizione cosiddetta narcisistica, autocentrata, a quella che Freud, definisce libido oggettuale, che segna l’accesso alla cultura, mediante appunto  la sublimazione e il cosiddetto profilarsi della pulsione epistemofilica,, processo che segna l’apertura da parte del bambino al desiderio di apprendere, di conoscere il mondo e di far parte di esso, abitandolo. Il desiderio apre alla relazione, alla condivisone,  al legame con l’altro, ad un con-esserci esistenziale, come sentimento di essere parte di[11]….

Se la scuola ritiene che il suo unico compito sia istruire, basta come, aveva preconizzato, Ivan Illich, nel suo testo famoso”Descolarizzare la società,” soltanto collegare i giovani a mezzi informatici, da cui mutuare le informazioni utili alla loro istruzione e ridurre gli insegnanti a semplici assistenti!

Le emozioni , le passioni, i bisogni  epistemofilici  sono solo fantasie obsolete, che vanno assolutamente messe da parte, nell’era dei consumi!  Sempre Sigmund Freud,  un secolo fa,  aveva scritto “La scuola non deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppure sgradevoli  dello sviluppo. Essa non deve assumere la prerogativa dell’inesorabilità, propria della vita;non deve voler essere più che un gioco della vita.”[12]   

Il bullismo che ingloba vari tipi di comportamento , anche di tipo goliardico e scherzoso, non solo quindi di tipo distruttivo, fa parte della vita scolastica , ma è anche un messaggio di richiesta di attenzione agli adulti.

Purtroppo questi nuovi linguaggi, di cui bisognerebbe decodificare il significato affettivo  e relazionale andrebbero compresi(verstehen ) per fornire risposte competenti e congrue ai bisogni cui essi rinviano, invece, vediamo cosa accade, di fatto. Accade che il bisogno di conquista della notte (i ragazzi vivono molto di notte, oggi), il bisogno del contatto virtuale (l’uso di internet), la maniera diversa di rappresentare la relazione con sé stessi attraverso il corpo trafitto da piercing e segnato da tatuaggi investiti sicuramente da una forte simbolicità espressiva, che li rappresenta in quel particolare momento del loro ciclo vitale, la relazione stretta con la famiglia sociale, cioè i legami affettivi con i coetanei,  negli adulti impreparati e verosimilmente terrorizzati, evoca sulla scena sociale la necessità della cura diretta a bonificare comportamenti ritenuti patologici.

Così, la cura di questi ragazzi viene inopinatamente affidata ai professionisti delle discipline forti, e, cioè, psichiatri, criminologi, esperti di devianza minorile, con la sconsiderata patologizzazzione di problemi attinenti un ciclo vitale, qual è quello dell’adolescenza oggi, solo perché gli adulti non posseggono strumenti idonei a fornire risposte …sane a bisogni sani .[13] Si ricorre così a strumenti di tipo psicocratico., oggi, ormai dilaganti.

 Ma cos’è la psicocrazia?

La  psicocrazia ,è quel potere occulto, diretto a gestire gli individui,  patologizzandoli: infatti essi, credendo di riconoscersi nei sintomi definiti attraverso protocolli ufficiali, elaborati in genere in America, ma ampiamente diffusi in Europa, come il DSM-IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, definito da alcuni la Bibbia della psichiatria,  finiscono per essere intrappolati in un dispositivo, come affermano Gilles Deleuze e Michael Foucault,  e cioè in  un apparato predisposto per controllare e manipolare atteggiamenti e condotte, non forzandoli, apparentemente dall’’esterno, ma “costringendoli ad essere soggetti attivi del loro assoggettamento”.

 In altri termini, si profila, quella che M. Foucault definì biopolitica dei corpi, operata  con la complicità di discipline, che vanno dalla chimica alla biologia, dalla genetica  alla statistica, fino a saperi, quali, la demografia, la psichiatria, la sociologia, la criminologia, la sessuologia, tutti insieme, diretti a definire l’idea di normalità che, come ho già detto  è solo un costrutto. Un costrutto, che pur essendo  fondato sull’assunzione logico ipotetica di tipo statistico di un fenomeno, che è solo la conseguenza  dedotta dal costrutto adottato, oggettivizzandolo, di fatto , riesce  ” a fornire alle sfere di potere gli strumenti concettuali per la gestione delle attività biologiche”.[14]

Viceversa, la questione va affrontata, ridefinendo le politiche giovanili (in atto non si fa nulla, tranne punire e patologizzare, o continuare sulla politica del laisséz faire) e riorganizzando i Servizi deputati a fornire risposte sia ai giovani, sia agli adulti, considerato, che quelli esistenti, sono obsoleti, in quanto non più rispondenti al ricambio culturale, che è in atto e  sotto gli occhi di tutti, come, anche, il ritardo culturale al primo connesso…

Una rapida occhiata ,per capire, di cosa parliamo.

 Cominciamo dai i Servizi di Tutela Salute Mentale:essi sono  troppo connotati, né tanto meno organizzati a fornire risposte, che non siano confezionate …solo per i matti; i Consultori sono ridotti a servizi predisposti  in senso medico-ginecologico; i Centri Sociali forniscono, spesso, solo risposte, di tipo marcatamente assistenzialistico.

 Vorrei concludere, sottolineando il fatto, che i giovani chiedono agli adulti di essere compresi e non di essere affidati ad esperti, per paura di non sapere cosa fare e di non capire, perchè, loro, gli adulti sono privi di una vera passione educativa.

 La mancanza di una passione educativa, alla fine, porta gli adulti ad invocare le facili etichette, fornite da  diagnosi preconfezionate,  per coprire la loro incapacità ad esser-ci e a con-esserci, con questi nuovi adolescenti, che il prof GustavoPietropolli Charmet, con una bella immagine icastica, di forte potere rappresentativo, immagina alla ricerca di  un adulto vero, una guida, un mentore, che quando lo incontrano, non se lo lasciano sfuggire, perché? [15]

 Questa figura, che il prof Pietropolli Charmet, immagina , come l’unica, che possa entrare, attraverso un alchimia emozionale in quell’aldilà che è la psiche dell’ adolescente  attraversandone la scena interiore, a differenza dell’ esperto delle discipline forti ,non può che essere rappresentata, a mio avviso,  dall’immagine possente, perché forte, magica e solida, rinviata da un novello e appassionato Teseo. Si  ancora Teseo! Ma, questa volta,  impegnato nel compito arduo, di dover eludere la sorveglianza ambigua e minacciosa del Minotauro, che abita i protagonisti di questo particolare momento del ciclo vitale dell’esistenza, per condurli sani e salvi, fuori da quel labirinto dionisiaco, che è l’adolescenza.

 Ma come ?  Con lo stesso atteggiamento con cui si ascolta la musica, comprendendo-li, (verstehen) loro, sì, gli adolescenti,  perché, come ha detto Levy Strass:  "fra tutti i linguaggi, solo la musica riunisce i caratteri contraddittori di essere a un tempo intelligibile e intraducibile".[16] …proprio come l’adolescenza.!



[1] 1988 J. Pierre Vernant, La morte negli occhi. Figure dell’Altro nell’Antica Grecia, Bologna, Il Mulino.

[2] 1996 Umberto Galimberti, Paesaggi dell’Anima, pag 160,ed. Mondatori.

[3] 2000, G. Pietropolli Charmet , I nuovi adolescenti-Padri e madri a una sfida. Raffaello Cortina , Milano

[4] ibidem

[5] Prof. Eugenia Scabini, La Famiglia, le sue trasformazioni socioculturali e le sua prospettive di sviluppo.,Convegno Diocesano, Basilica di San Giovanni in Laterano, 9 giugno 2003.Insieme alla famiglia, costruiamo una società migliore..

[6] Carl Gustav Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni ed BUR 2008 pag 472

[7] U. Galimberti, op. citata , pag.137

[8] Gustavo Pietropolli Charmet, psicoterapeuta ed esperto di disagio giovanile” Scopriamo la vitalità dell’adolescenza senza farne sempre una malattia”. Articolo, pubblicato su Repubblica del 23 ottobre 2010

[9] 1996 Umberto Galimberti, Paesaggi dell’anima, pag.149, ed . Mondadodori

[10] Ibidem, pag.150

[11] Sigmund Freud Tre saggi sulla teoria sessuale, ed Bollati Boringhieri, 1970

[12] Sigmund Freud, Contributi a una discussione sul suicidio (1910) Opere, Boringhieri, Torino, 1974

[13] Op. citata, Pietropolli Charmet, articolo uscito su Repubblica

[14] “2005 ,Michael Foucault, Nascita della biopolitica, Corso al College de France (1978-1979) ed. Feltrinelli  

[15] G. Pietropolli Charmet, Repubblica op.citata.

[16], Claude Levi Strauss, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano,

 

 
I neuroni specchio:dal cognitivismo alla mente incarnata.Verso una Koinè transdisciplinare. PDF Stampa E-mail

 

Woody Allen nel film Zelig (1983)

”L' epistemologia convenzionale che chiamiamo “normalità”, esita a rendersi conto che le proprietà sono solo differenze che esistono solo nel contesto solo, nella relazione. Noi astraiamo dalla relazione e dalle esperienze di interazione per creare oggetti e dotarli di caratteristiche. Allo stesso modo esistiamo ad ammettere che il nostro stesso carattere è reale solo nella relazione.

Gregory Bateson

 

La locuzione transdisciplinarità venne coniata da P. Delattre, nel 1973,. che distingueva la pluridiscipinarietà diretta a concettualizzare specialità miste, mutuate dall’incontro tra

discipline, quali ad esempio la biomeccanica, la biochimica la psiconeuroimmunologia e i modelli propriamente transdisciplinari, che mirano a creare, invece, un linguaggio unico con i contributi

di un numero più o meno grande di discipline, “le quali resterebbero altrimenti rinchiuse nei loro gerghi.”[1]

L’ approccio, che ne deriva, è quello di un’ epistemologia diretta a creare una nuova sintassi, in modo da, alchemicamente unificare i contenuti desunti da altre discipline e una semantica altrettanto originale e trasversale rispetto ai vari oggetti disciplinari, compresi da detto modello.

In altri termini, si vuole costituire una Scienza universale, una sorta di koinè dialektos,

una lingua comune, denominabile transdisciplinare.

Praticamente il sogno di F. Bacone e cioè, “disegnare una scienza capace di contenere tutti quegli assiomi che non appartengono ad alcuna delle scienze particolari, ma possono competere a più d’una nel medesimo tempo”[2]

Questo modello concettuale, nel suo rinviare ad un approccio alla complessità , si attaglia in particolare alla Teoria dei sistemi, di cui indicheremo alcuni assunti teorici fondamentali.

Il mondo è un sistema integrato di parti, .che danno luogo ad un insieme diverso dalla somma delle medesime...”.Siamo parte danzante di una più ampia danza di parti interagenti,” osservava Gregory Bateson, una danza che concorriamo dialetticamente a fare, disfare, costruire in un inestricabile intreccio.

I sistemi sono in continuo mutamento e concetti come non equilibrio, instabilità, non linearità, indeterminazione, connotati negativamente dalla scienza tradizionale, possono portare, come

dice Ilya Prigogine, scienziato di origine russa, premio Nobel nel 1977 per la chimica, all'emergere spontaneo di un ordine, che è il risultato di effetti combinati dell'irreversibilità,del non equilibrio, degli anelli di retroazione e dell'instabilità .

Anzi Prigogine ha dimostrato che nell'incremento del disordine si verifica una rielaborazione creativa. Ne consegue che i sistemi viventi nei momenti di peggiore disordine possono rigenerarsi

e trovare soluzioni più funzionali e creative: il vincolo può diventare una risorsa.

Non a caso Prigogine, insieme a Francisco Varela e ad Humberto Maturana hanno fornito un grosso contributo alla scienza della complessità, studiando alcune discipline quali fisica, chimica, ecologia e scienze sociali, come sistemi tra loro interconnessi. Il concetto di interconnessione nel contesto del nostro discorso è quindi fondamentale.

Tutto ciò che è detto, è detto da un osservatore, sempre ricorsivamente connesso al sistema che osserva. Il mondo come noi lo conosciamo è una nostra invenzione, per cui la realtà è una nostra invenzione (Von Glaserfeld )

Conseguentemente come dice H.Von Foerster “quando si parla di sé ,utilizzando la parola io si produce una magia. Ci si crea creandosi. Io è l’operatore e anche il risultato dell’operazione”[3]. Però, purtroppo la specializzazione della conoscenze, la separazione, per non dire la compartimentazione delle professioni, strutturate su ethos disciplinari molto differenziati, ha generato chiusura ed autoreferenza.

Inoltre, un problema di non poco conto, è rappresentato in particolare dalla difficoltà delle scienze “empatiche”, del Verstehen (comprendere) o discipline umane (storiche o dello spirito), di dialogare con le discipline esplicative o delle scienze della natura dell’Erhlaren (spiegare), in una Tradizione come la nostra, la cui configurazione conoscitiva, di matrice fisico-matematica, impedisce, che modelli scientifici non oggettivi, siano riconosciuti validi, e ciò a dispetto di tutte le tesi falsificabiliste.

L’approccio alla Trandisciplinarietà, allora, richiede l’uscita dall’idea di disciplina tramandataci da Aristotele, ancora molto viva , come scienza indissolubilmente legata al proprio insegnamento, che condanna in un certo senso all’autoreferenza, tant’è che egli così la connotava .”L’argomento didattico differisce da quello dialettico:è necessario che colui il quale insegna non interroghi, ma porga egli stesso chiarimenti” altrimenti non potremo mai comprendere che “i disaccordi tra gli osservatori , quando non sorgono da banali errori logici all’interno dello stesso versum, ma dal fatto che gli osservatori si trovano in versa differenti, dovranno essere risolti non pretendendo un accesso privilegiato a una realtà indipendente, ma attraverso la creazione di un versum comune tramite la co-esistenza in reciproca accettazione.“[4].

Il dialogo comunque , per quanto difficile, credo sia aperto. Riporterò un esempio in tal senso senza alcun commento.

Il primo assioma della Pragmatica della comunicazione umana - non si può non comunicare, il cui capostipite fu Paul Watzlawick, uno psicologo austriaco naturalizzato statunitense, recentemente scomparso, si fondava sull ’idea, che la

’attività o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio:influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere e quindi, comunque ci si sforzi… non si può non comunicare.[5]

Giacomo Rizzolatti, il neuroscienziato italiano, che lavora a Parma con un équipe internazionale, ha scoperto nel 1992, i cosiddetti neuroni specchio o mirror: essi sono adiacenti ai neuroni motori, fanno sì, che le aree del cervello preposte al movimento, comincino già ad attivarsi, quando vediamo qualcuno compiere un certo gesto.

I neuroscienziati hanno rilevato, per caso, questa rete neurale senza fili nel 1992, mentre erano intenti a tracciare una mappa dell’area sensomotoria del cervello della scimmia, usando elettrodi talmente sottili, da poter essere impiantati nelle singole cellule cerebrali , per poter vedere quale si illuminava durante un movimento specifico.

Gli scienziati si accorsero che alcuni neuroni si illuminavano quando la scimmia afferrava qualcosa, mentre altri neuroni s’illuminavano quando la faceva a pezzi. .

Ma la scoperta più sensazionale avvenne, quando uno degli assistenti ricercatori, tornò dopo una pausa mangiando un gelato. Gli scienziati si accorsero, che si illuminavano determinati neuroni, quando la scimmia osservava che l’uomo portava il cono alle labbra.

Ma essi rilevarono, anche, che quando la scimmia osservava un’altra scimmia o uno dei ricercatori che compiva un certo movimento sembrava si riattivassero un certo tipo di neuroni.

I neuroni specchio dopo essere stati scoperti nelle scimmie sono stati individuati anche nel cervello umano

Infatti, è stato constatato con l’utilizzazione di un elettrodo della grandezza di un raggio laser, attraverso il quale è stato monitorato un singolo neurone di una persona cosciente,che esso si è attivato sia quando la persona si aspettava il dolore, (una puntura di spillo)sia quando vedeva qualcun’altro subire una puntura di spillo:un’istantanea neurale dell’empatia primaria in azione.

La ricerca sta dimostrando ,che detto meccanismo di rispecchiamento non è l’espressione di un riflesso meccanico di tipo pavloviano, ma è modulato e condizionato dalla storia idiosincratica dell’individuo e quindi dalla persona ,che possiede quei particolari neuroni specchio nel suo cervello.

Basti l’esempio di un esperto danzatore, che vede il filmato di un balletto: è chiaro, in questo caso, che il grado di attivazione di questo meccanismo neuronale, è molto più potente, di quello che si verifica nel cervello di una persona .che non possiede quel grado di competenza motoria.[6].

Molti neuroni specchio agiscono nella corteccia premotoria, che governa una serie di attività

come parlare, muoversi, o semplicemente avere l’intenzione di fare qualcosa.

Poiché essi sono adiacenti ai neuroni motori, fanno si che le aree del cervello preposte al movimento cominciano già ad attivarsi quando vediamo qualcuno compiere un certo gesto.

Quando ripassiamo mentalmente un’azione, (facciamo la prova di un discorso o ripassiamo un gioco o un allenamento per un’attività sportiva) nella corteccia premotoria si attivano gli stessi neuroni che entrerebbero in gioco, se dovessimo realmente pronunciare quel discorso o attivarci per l’attività sportiva.

In altri termini, simulare un atto nel cervello, equivale a compierlo, tranne che siamo impossibilitati da ragioni neurologiche.

E’ stato osservato sottoponendo alcuni volontari all’ fMRI (Risonanza magnetica funzionale),che nei medesimi mentre guardano un video di una persona sorridente o corrucciata, si attivano le stesse aree cerebrali, in gran parte identiche a quelle che entrano in gioco nella persona protagonista di quella particolare emozione.

Da sottolineare, che i neuroni trovati in area premotoria , nella superficie mediale del lobo frontale, nel regolare la nostra intenzionalità motoria, svolgono un ruolo importante nell’impedirci di mimare automaticamente i gesti che vediamo compiere..

Inoltre i neuroni specchio si dispongono in maniera diversa , secondo se ci relazionamo con qualcuno che appartiene o meno alla nostra cultura.

Capisco, in altri termini, l’azione di un altro, creandone una sorta di calco nel mio cervello, una simulazione delle azioni altrui per meglio comprenderle, non certo per una loro pappagallesca imitazione. Questa peculiarità dei neuroni specchio, ci impedisce di diventare come Zelig.[7]Ma chi è Zelig? Si rammenta, che Leonard Zelig è il personaggio creato da Woody Allen, nel film omonimo del 1983, vittima di una ignota malattia, che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti, in conseguenza del contesto in cui l'individuo si trova. Un uomo,quindi, che non ha un sé, né una personalità, semplicemente l'immagine proiettata degli altri, uno specchio che restituisce alle persone la propria immagine.

Bruno Bettelheim ,presente nel film, nel ruolo di sè stesso, fornisce il seguente commento: "Se Zelig fosse psicotico o solo estremamente nevrotico, era un problema che noi medici discutevamo in continuazione. Personalmente mi sembrava che i suoi stati d'animo non fossero poi così diversi dalla norma, forse quelli di una persona normale, ben equilibrata e inserita, solo portata all'eccesso estremo. Mi pareva che in fondo si potesse considerare il conformista per antonomasia"».

È in tale accezione di personalità adattivamente camaleontica, di trasformismo identitario dipendente dal contesto ambientale, che è stata coniata in psichiatria la Sindrome di Zelig , ZeligSindrome o Zelig lihe Sindrome. Un robopatico, avrebbe detto J.L. Moreno, se non un normopatico, affetto quindi dalla patologia della normalità…e non è un paradosso!

Non a caso i neuroni specchio hanno un ruolo essenziale nella modalità di apprendimento dei bambini, infatti l’apprendimento per imitazione è una delle principali vie di sviluppo infantili .

Giacomo Rizzolatti spiega,inoltre,  che i neuroni specchio,  ci permettono di captare le menti altrui, non attraverso il ragionamento concettuale, bensì tramite la simulazione diretta,con la percezione non con il pensiero.

Egli dice che ai bambini autistici il mondo delle intenzioni e delle emozioni altrui è precluso, per cui il ventaglio dei significati di un gesto è ridotto ad un’unica interpretazione, cioè un gesto banale , come allungare una mano per porgere una mela, colmo di mille possibili significati , si blocca ad una sola interpretazione.

Rizzolatti ritiene, che si sia inceppato, non rotto il meccanismo dei neuroni specchio

La scoperta dei neuroni specchio ha fatto si che nei laboratori di Parma, si affacci gente di teatro che si chiede come può uno sguardo o il gesto di allungare una mano, o l’intonazione di una vocale  provocare tanti tipi di risonanze nel nostro cervello.

Lo stesso Rizzolatti riferisce, che con un gruppo di giovani attori del Piccolo hanno fatto uno studio sui mille significati del porgere una mela.

L’attore muove i suoi muscoli e lo spettatore attiva i suoi neuroni specchio, per interpretare il significato del gesto.

Quale intenzione e sentimento c’è dietro, da quale possibile rapporto sono legati donatore e ricevente ed infine quali saranno gli effetti dello scambio?.

Peter Brook ha osservato ironico:”con i neuroni specchio i neurologi hanno scoperto quello che gli attori avevano capito da sempre”.

E forse l’aveva compreso anche Aristotele, che pietà e terrore generatrici della famosa catarsi nello spettatore, che assisteva alla tragedia agita dagli attori, non era altro che quel magico e ineffabile legame cervello-cervello, attivato dai neuroni specchio, che avrebbe acceso nel primo lo stesso sentimento degli attori protagonisti. Altro che quarta parete!.

Purtroppo, come dice il bell’articolo pubblicato sul n.3 della rivista telematica- Riflessioni sistemiche, già citato, il conflitto nella scienza si presenta come problematica molto complessa, in quanto richiede il passaggio dalla centralità del cognitivismo e delle scienze cognitive classiche, alla rilevanza delle scoperte operate attraverso l’approccio delle neuroscienze cognitive, per comprendere cosa significa essere umani.[1]

Purtroppo , si tratta di una rivoluzione, in cui le opposizioni sono molto forti , perché strenuo è il tentativo di difendere il paradigma mentalista e cognitivista, in quanto, aggiungo io, tutto si gioca sull’ordine del discorso di foucaultiana memoria, che detiene il potere sovrano di stabilire chi ha diritto al logos, alla parola che conta, derivante, “dai decenni di tacito consenso di cui ha goduto il cognitivismo, assumendo i caratteri di one best way in psicologia e pervadendo l’editoria e i dipartimenti e le carriere universitarie.” [2].

Così, un ottuso mentalismo legato all’approccio cognitivista, continua , a separare la res cogitans dalla res extensa e quindi il cognitivo dal corpo , dalla cultura, dalla relazione, dall’emotivo, dall’affettivo,..nonostante la ricerca, come abbiamo visto, dica altro, ma per i fatti peggio per loro, diceva Umberto Eco.. [3]

Edmund Husserl, ( 1859 /1938) filosofo e matematico austriaco, lo aveva già detto tanto tempo fa: ”Gli spiriti sono qui, dove sono i corpi, nello spazio e nel tempo naturali, ogni volta e fintanto che i corpi sono corpi viventi.”.[4]

Esistono, ormai, fondamenti incontestabili, legati alla ricerca operata dalle neuroscienze cognitive e, senza scadere nella neuromania, ( Rizzolatti, Sinigaglia ,2006) che informano, anche chi non vuole saperlo, che la nostra mente è una mente ineluttabilmente incarnata e che tra mente e corpo non esiste alcuna scissione.

Il cervello, non è una scatola magica, dove è dislocata l’attività intellettiva, della cognizione, dello spirito, dell’anima, ma solo una delle parti che definiscono il nostro essere incarnati.

In altri termini, e questo lo aveva già detto la fenomenologia, bisogna muovere dal fatto che esiste un legame vincolante ed ineludibile tra cervello-corpo-mondo, al punto che se non lo si comprende si commettono esiziali errori di ordine logico. [5]

Conseguentemente, per quanto detto, la nostra mente è situata nella relazione con gli altri, al punto, che possiamo dire che “per fare una mente ce ne vogliono almeno due” e che la mente relazionale è una realtà che plasticamente risponde ai contesti nei quali si declinano le relazioni[6]. E ciò, a dispetto di quanto continuano a pensare i cognitivisti..


 

[1] Ugo Morelli Carla Weber Op. citata pag39

[2], ibidem. pagg.39,40

[3] Ibidem pag 40

[4] Edmund Husserl , Die Krisis der europaischen Wissenschaften, XXII Beilage in Umberto Galimberti , Il Corpo, pag 64, ed Feltrinelli, 1994

[5] Ugo Morelli Carla Weber, op.citata pag .41

[6] Ibidem ,pag 40.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


[1] P. Delattre, in Enciclopedia Einaudi, ad vocem Disciplina-Discipline

[2] 1965, F. Bacone, trad italiana , in Opere filosofiche , pag 148, Bari, Laterza

[3] H. Von Foerster, in Sistemica, Voci e percorsi nella complessità ad vocem Io/Noi pag.450

[4] Ibidem pag. 212 ad vocem Conflitto

[5] 1971,Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della Comunicazione Umana, Roma, Astrolabio

[6] Riflessioni Sistemiche , n.3, Ottobre 2010,Conflitto della conoscenza Vincoli e possibilità dell’interdisciplinarità-Ugo Morelli-Carla Weber , Rivista telematica consultabile su internet

[7] ibidem

 
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