La Clinica sistemica e il Counseling: alcune connessioni per altre significazioni
”La psichiatria nel senso più ampio, è un dialogo tra la psiche ammalata e la psiche del medico, che si suppone sia “normale”; è una spiegazione tra la personalità ammalata e quella del terapeuta per principio anch’essa soggettiva”
(C.G. Jung, Ricordi , Sogni , Riflessioni)
L'accezione Clinica, tradizionalmente rimanda alla patologia e quindi alla cura come riconduzione alla normalità, che nel caso della domanda sanitaria è fisiologica e d’altro canto il suo etimo rinvia sia ad un metodo della medicina(dal greco klinike téchne”arte medica”derivato a sua volta dall’ indoeuropeo kline cioè letto, quindi considerazione della persona nel suo ambiente naturale, vicinanza dell’osservatore all’osservato) che ad una disciplina applicativa, che occupa un posto preminente nella salute mentale ,seppure in un contesto di diverso significato.
In psicologia clinica, infatti, come scrive R.Carli, “a differenza della clinica sanitaria dove la domanda può essere accettata e validata dal medico, oppure rifiutata, perché incongrua rispetto al procedimento diagnostico e terapeutico, il vero sintomo del paziente è la domanda, e come essa si presenta, si declina e si dispiega, nel rapporto con lo psicologo stesso.”1
La locuzione “Clinica,” secondo la sua collocazione semantica e contestuale, però, come vedremo, pone non pochi problemi di senso,in quanto, il sapere clinico e la sua pratica, portano tradizionalmente con sé, equivoci e reificazioni dell’essere umano, perché non in grado di identificarne la complessità, come osserva Michel Foucault in un suo famoso saggio2.
Egli dice, infatti, che il sapere clinico fa riferimento a un corpo artificiale, il corpo del sapere, nel quale il corpo dell’uomo malato deve entrare come in un vestito, per garantire l’obiettività della ricerca:i sintomi manifestati dal paziente, infatti, non vengono considerati come una turbativa della malattia, ma come i segni che la rivelano.
Il modo soggettivo di vivere la malattia, le connessioni con il mondo di cui la persona fa parte, devono interferire poco o nulla, in modo da non compromettere l’approccio scientifico, secondo cui ogni sintomo deve corrispondere ad un quadro nosografico verificabile e riscontrabile.
Tra il medico e l’uomo malato si frappongono come uno schermo, gli scopi. l’organizzazione del sapere medico, l’organizzazione della malattia e l’organizzazione dell’insegnamento, per cui il medico è un funzionario di quel sapere e l’uomo “un caso” di quel sapere, a cui non può avere accesso, in quanto non può entrare nell’ordine del sapere potere medico.
Medico e paziente infatti si trovano all’interno di una relazione asimmetrica in cui il primo in quanto detentore dei saperi di una disciplina, per le ragioni che diremo in appresso, controlla la produzione di un discorso, secondo un sistema di polizia discorsiva, su cui ha pieno potere e da cui il secondo è fatalmente escluso.
Ci riferiamo, con quest’asserzione, a quei meccanismi sociali di controllo della comunicazione, su cui M. Foucault ha scritto pagine di grande profondità. Egli afferma, infatti che il linguaggio è sottoposto a precisi metodi di controllo, a procedure di esclusione, che ne limitano la potenzialità, relegandolo nell’ambito di significati stabiliti e funzionali a chi opera tale controllo.
Uno di questi principi di controllo della produzione del discorso è rappresentato dall’organizzazione delle discipline (si rammenti che disciplina significa insegnamento,ammaestramento..) che obbligano chi ne fa parte ad utilizzare strumenti concettuali precisi, anzi, “per appartenere ad una disciplina una proposizione deve potersi iscriversi in un certo tipo di orizzonte teorico…….entro i suoi limiti, ogni disciplina riconosce proposizioni vere e false; ma essa respinge oltre i suoi margini tutta una teratologia del sapere, anche se una disciplina non è la somma di tutto ciò che può essere detto di vero a proposito di qualcosa.
Ci si è spesso chiesti come mai sia stato possibile che i botanici e i biologi del XIX secolo non abbiano visto che quel che Mendel diceva era vero. Il fatto è che Mendel parlava di oggetti, metteva in opera metodi, si poneva su un orizzonte teorico, che erano estranei alla biologia del suo tempo.3
La psicologia clinica tradizionale, legata al modello medico, opera l’identica spersonalizzazione della Clinica medica, attraverso la costruzione di un sapere specialistico e l’adozione di nomenclature linguistiche poco atte a interpretare la sofferenza della sragione, bensì a creare una copertura sottile, ma potentissima, grazie alla quale il rapporto con l’Altro, con l’Insensato è stato privato di ogni funzione esistenziale ed è stato ridotto a una dimensione della patologia individuale4
Sul versante fenomenologico contro l’atteggiamento clinico in psichiatria, R.Laing, giustamente si chiedeva “come può uno psichiatra considerare direttamente il paziente per descriverlo, se il vocabolario psichiatrico a sua disposizione serve solo a tenerlo a distanza? I termini del vocabolario tecnico corrente, infatti hanno o l’una o l’altra di queste proprietà:o si riferiscono. ad un uomo in isolamento rispetto agli altri e al mondo (cioè ad una entità ,la cui qualità essenziale non è quella di essere in rapporto con gli altri e col mondo) o si riferiscono ad aspetti falsamente elevati a sostanza di questa entità isolata”5
Infatti, le parole del folle possono assumere un loro statuto di senso, solo attraverso una serie di filtri utilizzati dall’esperto (quindi la sua propria competenza e i suoi strumenti tecnici…ecc)
Ciò significa che ci troviamo all’interno di una sorta di polizia discorsiva, che stabilisce le aree di praticabilità dei discorsi, attraverso veri e propri rituali: essi stabiliscono la qualifica che devono possedere gli individui che parlano, determina i gesti e i segni che devono accompagnare il discorso, basti pensare al linguaggio religioso, politico giudiziario, religioso, terapeutico, i cui ambiti discorsivi si muovono all’interno di pratiche ritualizzanti che diventano veri e propri mezzi di discriminazione.
Viceversa, la Clinica sistemica, sembra, punto per punto, rappresentare una riclassificazione dell'ordine logico, sotteso all'epistemologia del modello medico, criticata da Michael Foucault, con tanta argomentata profondità:vediamone le affascinanti significazioni, a cui ha dato voce Umberta Telfener, dirette appunto a demedicalizzare la cornice semantica e politica di detta nozione.
Leggiamo testualmente nell'incipit.”Intendiamo qui rideclinare i termini clinica e psicologia clinica intesi in senso ampio come interventi di riflessione /azione in un contesto dato, quali modalità di intervento coerenti con l'epistemologia sistemica”.
Le concettualizzazioni, di cui sopra, poi continuano, ponendo l'accento,sulla difficoltà di semeiotizzare, con un nuovo vocabolo il processo clinico, coerentemente con l'ottica sistemica, in quanto lontana dal modello medico, cercando di denotare e soprattutto, connotare gli interventi in maniera diversa e alternativa alla predetta prassi.
Esemplificando, ancora, il contesto attinente il processo clinico, non separa gli osservatori dagli osservati, insieme coinvolti in una danza, che comprende le due parti, (aveva detto Bateson”siamo parte danzante di una danza di parti interagenti”) viene messa al bando ogni dicotomia tra chi cura e chi è curato.
Inoltre la proposta di un modello narrativo in psicologia ha permesso di allontanarsi da un linguaggio e da una prassi medica, per utilizzare metafore e parole chiave mutuate dalla letteratura.
L'ottica sistemica, infatti, sin dagli anni 60, ha proposto una serie di interventi diversi e il termine consulenza, come ombrello sotto il quale identificare molteplici possibili interventi.
Così non si designa più con il termine clinica la sola psicoterapia, che diventa una delle funzioni, che vanno a costituire l'identità del clinico.
Non si suddividono più le fasi prevenzione, cura e riabilitazione, come separate, in quanto i tre momenti fanno parte di un continuum, i cui effetti pragmatici sono spesso imprevedibili e quindi, nella loro complessità, non enunciabili a priori.
Per esempio, la consulenza ad un azienda può migliorare le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti e funzionare come prevenzione rispetto ad altre difficoltà; l'orientamento scolastico può mettere in luce o “curare” un problema familiare o sociale e così via.
Così, non si differenzia una fase conoscitiva da una fase più strutturata sull'intervento, in quanto il fare domande è già introdurre differenze. Infine, nonostante la parità relazionale all'interno del sistema di neoformazione(terapeuta + cliente, consulente + committenti, operatori + gruppo di riferimento),è ovvio, che la responsabilità del cambiamento spetta all'operatore socialmente definito,
Non bisogna dimenticare la coerenza tra teoria e prassi, attraverso un uso attento degli strumenti, della loro applicazione e del contesto in cui si opera. L'uso delle parole, in questa cornice di senso, diventa fondamentale, un memento, che ci ricorda, appunto, la lezione di Mara Selvini e collaboratori, diretta ad esortarci, nel descrivere una persona, a non usare l'ausiliario essere, (quel signore è depresso) sostituendolo con apparire(quel signore appare depresso)in modo da non reificare i comportamenti, derubricandoli da una loro processualità, legata spesso al contesto relazionale di appartenenza del suddetto…per cui “le proprietà sono solo differenze che esistono solo nel contesto, solo nella relazione”.
Infine, questi spunti di riflessione e di ridefinizione della locuzione, Clinica, tuttora in corso, che vede impegnati numerosi clinici, che non si identificano con il modello medico, fa ritenere che “sotto la voce clinica possono essere inclusi interventi molto diversi tra loro, dalla consulenza alla psicoterapia, dalla mediazione familiare o penale alla supervisione , dalla conduzione di gruppi di aiuto alla facilitazione in situazioni sociali e collettive, dall'emporwement agli interventi di rete”.
Infine, l'ampia ed argomentata dissertazione, sulla voce Clinica si chiude con la considerazione , che “molti altri interventi potrebbero essere menzionati....perché già prassi corrente, altri sono ancora da progettare...ecc”6
In proposito, non posso fare a meno di lanciare un messaggio irriverente, il cui suggerimento mi è venuto proprio dal testo “Irriverenza” ricco di spunti riflessivi e trasgressivi, che veramente aiutano a crescere come persone e come professionisti.
Vorrei fare un breve cenno a questo scritto, cogliendone alcuni aspetti salienti, per fissare la cornice di senso in cui mi muovo e quindi argomentare, quanto dirò, senza ricorrere ....ad entimemi... artifici retorici .atti solo a confondere un malcapitato interlocutore, vediamo perchè.
Nell'incipit, della Prefazione, del suddetto testo, Kenney racconta della famosa festa dei Giullari, che si teneva nel Medioevo, in tutta Europa, in cui il popolo sovvertendo i ruoli delle classi dominanti, rivestendone quindi i panni, ne metteva in berlina sbeffeggiandoli, principi, rituali ed usi che costituivano il fondamento dell'ordine costituito:il potere veniva così osteso e messo in ridicolo, per renderlo non solo meno minaccioso, ma anche per minarne la credibilità assoluta.
Questa è già una riflessione, un primo avvertimento volto a diffidare di verità inoppugnabili, in genere, e più in particolare quelle costruite e non co-costruite nei contesti di cura , dove possono diventare veramente letali, sia per chi cura ,che per chi viene curato.
D'altro canto la locuzione terapia dal greco therapeia, presenta una ricca valenza semantica, cosi come evoca il suo etimo originario, per chi ha una certa dimestichezza con la lingua greca, e rinvia ad un prendersi cura, assistere, essere al servizio di qualcuno . Però, la therapeia ,presenta anche semanticamente , come nella personalità umana una parte d’ ombra direbbe Jung, quindi, aspetti occulti, nascosti al suo interno che possono agire, in maniera distorta, in quanto essa esprime accanto al significato di cura, anche quello di ossequio, codazzo, servitù, quasi a connotare i pericoli di una dipendenza, che può ricorsivamente coinvolgere chi cura e chi è curato:un esempio può essere rappresentato dal transfert e dal controtransfert, nella migliore delle situazioni, perché potrebbe anche accadere di ben peggio….
Poi, il testo prosegue, con celebre esempio tratto da un famoso esperimento fatto da Bateson e il suo gruppo, negli annoi 60, nelle isole Hawaii, attinente il comportamento comunicativo dei delfini e cioè: l'istruttore dopo aver addestrato un delfino ad un determinato contesto di apprendimento, del tipo condizionamento ricompensa- premio, l'animale, se metteva in atto il comportamento appreso, il detto istruttore non lo ricompensava più, se non esibiva un modulo comportamentale sempre nuovo.
Il delfino, un giorno, dopo inutili tentativi diretti ad ottenere la ricompensa, ripetendo il comportamento iniziale, cominciò a dare grandi colpi di coda, per manifestare il proprio disagio, finché, quando lo fecero uscire, non esibì una serie di moduli nuovi che non erano mai stati prodotti nella sua specie.
Il delfino, come afferma Bateson, era riuscito a fare un salto di livello logico, cioè aveva imparato ad affrontare il contesto dei contesti, esibendo ogni volta che entrava in scena un diverso e sempre nuovo modulo comportamentale.
In altri termini il delfino aveva fatto un esperienza di tipo schizofregenico. l'attraversamento del caos dato dal doversi confrontare con il suo apprendimento due o deuteroapprendimeto, e doverlo superare…per non impazzire.. Ma cos’è l’apprendimento due ? Secondo Bateson, esso si struttura attraverso sequenze di relazioni significative apprese nella prima infanzia, è inconscio, tende sempre ad autoconvalidarsi, ed è quindi inestirpabile. Quello che chiamiamo io non è che l’aggregato di quelle caratteristiche che chiamo il mio carattere e quindi tutti i termini come dipendenza orgoglio , fatalismo si riferiscono a caratteristiche dell’io che sono apprese in sequenze di relazioni
Nel caso del delfino detto apprendimento veniva proprio invalidato dalla stessa figura di riferimento per lui importante, come può essere quella di un genitore e ciò era terribile , ma diventava altrettanto terribilmente creativo, al punto da consentirgli un passaggio all'apprendimento tre,.7 .
Esso, l’apprendimento tre, ci dice Bateson, è molto raro , al punto che persino gli studiosi , che sono esseri umani, trovano difficile immaginare o descrivere questo processo. Qualcosa del genere è ipotizzabile nel contesto psicoterapeutico, nelle conversioni religiose e in tutte quelle esperienze che provocano una profonda riorganizzazione del carattere .
In questo contesto, astraendone la metafora, e quindi entrando nel Sancta Sanctorum di definizioni autorevolmente codificate sul Counseling, quali quelle già esposte, è facile intendere come esse inducano perlocutoriamente, (considerato che l'atto perlocutorio, secondo Austin è quello diretto a suscitare un determinato effetto sull'interlocutore)8a credere che siano “indiscutibili”.
Invece, proprio, per aver acquisito un modo di pensare sistemico e.. ..irriverente, mi chiedo se dette definizioni, siano del tutto accettabili, e se non è il caso di rinegoziare il significante e il significato della “parole” counselor.
La parole è la concreta esecuzione linguistica, che sta ad indicare, non solo le regole grammaticali, ma anche le scelte idisincratiche e personali dei membri di una comunità linguistica.9come ho già detto in un precedente articolo.
Ludwig Wittegenstein, ( 1889 - 1951) filosofo e logico austriaco afferma che il linguaggio, è come il bastone bianco per il cieco, gli serve per costruire il suo mondo.
Conseguentemente, a mio avviso, il significante linguistico counselor, che nella lingua d'uso, la nostra, certamente non è di facile comprensione, come ho già detto, è inoltre denotatato e connotato come dice Sabrina Piroli, “per negazione e per sottrazione,” ma anche per doppi vincoli, perché sembra affermare e negare contestualmente la stessa sussistenza di un approccio diretto a prendersi cura, ... visto che l'esperto, al momento che deve essere definito, ne resta indefinito il contesto di appartenenza, richiede una rinegoziazione di senso.
Infatti, se la parola è segno gesto e rinvia all'azione, non mi sembra che detta locuzione consenta, in un sistema di aspettative condivise, una facile comprensione del suo significato, tra l'altro mutuato da un altra lingua, come io stessa ho constato, nel contesto del mio micromondo sociale.
Mi chiedo, allora, perché, nella “cornice clinica,” non possa essere incluso anche un intervento di Counseling, ed inoltre mi chiedo, perché non si possa ridefinire la locuzione counselor, in quella che nella lingua d'uso, la nostra, è certamente più negoziabile in ordine alla sua comprensibilità e cioè consulente, esperto nella relazione d'aiuto, che non ritengo sia confusiva rispetto a consulente, psicoterapeuta, in quanto il contrassegno sul modo del primo professionista, è di esperto nella relazione d'aiuto, mentre per l'altro è di psicoterapeuta, competenza codificata da una precisa normativa, a differenza del cosiddetto counselor: entrambi connotano due contesti assolutamente diversi, rispetto al setting, ma anche alla collocazione istituzionale, ma non all'epistemologia sistemica che è comune.
Da decidere, infine se il counselor- consulente possa essere configurato come professione autonoma o una specializzazione successiva attinente determinate professionalità, che a mio avviso è quella che eviterebbe confusioni e sovrapposizioni tra professionalità diverse , considerato che L’Italia è l’unico Paese in cui esistono ancora gli ordini professionali.
In conclusione un accezione clinica spogliata dalle sua connotazione medica, ritengo che possa includere la competenza dell'esperto nella relazione d'aiuto, perlomeno, questo è ciò che mi ha evocato la voce Clinica.
D'altro canto, se riflettiamo sull'etimo di questo significante linguistico, che, come ho già detto, rinvia alla vicinanza dell'osservatore all'osservato, esso non può non assimilare nella sua cornice semantica, tutti i contesti del prendersi cura, come un continuum, che si va definendo per differenza.
Fra l'altro, vorrei ricordare che la locuzione, Clinica, come tutte le espressioni ad alta valenza simbolica, a mio avviso, porta con sé, sempre un eccedenza di senso, che è per se stessa, apertura a sempre nuove semeiotizzazioni, come ha già implicitamente dimostrato Umberta Telfner, nelle sue ampie ed interessanti enunciazioni, in proposito.
Bibliografia
1Carli R. Fenomenologia dell’adattamento sociale, in Nuove questioni di psicologia. La Scuola, Brescia, 1972.
2M.Foucault, Nascita della Clinica, ed Einaudi, 1998)
3Michael Foucault, L’ordine del discorso, pag .16,17,18, ed Einaud, 2004)
4M.Foucault ,Malattia mentale e psicologia ed Cortina ,1997 )
5R.D.Laing, L’io diviso, Einaudi, Torino 1969).
6Sistemica, op citata, pagg174,175,176, 177,178)
/ Gregory Bateson , Verso un ecologia della mente , Adelphi , 1976
7Gianfranco Cecchin,Gerry Lane,Wendel A.Ray,Irriverenza, ed Franco Angeli, 1992.
8Pio E.Ricci Bitti e Bruna Zani,La comunicazione come processo sociale, pag.111, ed Il Mulino, 1983.
9 ibidem, pag 96
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Felice Perussia
Regia psicotenica
Tattica della Formazione Personale
Milano: Guerini e Associati, 2004, pp.142.
Collana: Collezione di Psicologia / Counseling
Psicotecnica è Formazione Personale in quanto allenamento del Phersu, del soggetto persona realizzato coltivando la sua qualità di attore –autore o sciamano o profeta interprete di se stesso e delle proprie parti o caratteri.(pag 22)
Quelli che sto per scrivere sono appunti
sul saggio in indicazione rivisitato
anche attraverso una mia personale lettura, di tipo abduttivo,
quindi, per giustapposizioni, per somiglianza tra pensieri diversi, che
generano altri pensieri, altre connessioni, dedicati ai professionisti
dell’aiuto, ma non solo, che volessero trarne spunti di riflessione.
In particolare è dedicata ai curiosi di linguaggi non quotidiani ormai
troppo appiattiti dalle invasioni barbariche operate dalla
ideologizzazione dei mass-media che funestano le nostre giornate,
qualora essi volessero accostarsi a questo splendido saggio per
disinquinare la mente, ma ritengo anche…. il cuore.
Proverò a darne una breve sintesi, utilizzando soprattutto alcune parole
chiave e disseminando questo scritto,qua è là, di alcune mie
considerazioni.
Seguirò un percorso sia in un certo senso letterale del saggio
(si riportano alcuni brani così come li ha esposti il suo Autore)
sia personale e comunque sempre autoriflessivo (autoriflessivo
nel senso che questo saggio non è asetticamente di fronte a me ,
ma parla di me, come persona., ma anche come professionista
della relazione d’aiuto!.).
Iniziamo con alcune parole chiave (nel saggio, gli aspetti
linguistici sono strutturali ) che sono fondative per una
comprensione dello scritto in questione , muovendo dal termine
persona: esso viene dal latino, sta ad indicare la maschera dello
attore ma anche la parte , la maniera di esser-ci nel mondo, dell’uomo.
Esso deriva dall’etrusco phersu, cioè l’attore-pantomimo
-danzatore-sciamano-sacerdote. Secondo alcuni, riferisce
il prof. Perussia, Phersu si ricollega al personaggio mitologico
di Perseo che faceva da tramite tra gli uomini e gli dei.
L’uomo quindi è potenzialmente depositario di una tale
complessità e ricchezza, significativamente intuita dagli antichi e
dalle culture preletterarie, che può essere, attraverso la
Formazione personale maieuticamente portata alla luce
aiutando ciascuno ad esprimersi pienamente, attraverso la poiesispoiesis,
termine che dal greco significa creazione, fabbricazione, espressione
e quindi “spinta naturale alla realizzazione di Sé”.(pag 17 )
Che cos’è la Formazione Personale? Vediamo di identificarne
il senso
“La Formazione Personale è un processo che avviene costantemente,
in tutti, ma può essere favorito attivamente.” (pag,18)
Inoltre questo processo a volte ci contiene e ci soddisfa,
a volte crea disagio, tra l’altro come dice Jung”siamo incompiuti ,
cresciamo e cambiamo” e cambiare spesso significa,
come dice il Prof. Perussia sanare il contrasto tra
l’attitudine mimetica necessaria per vivere e condividere
la cultura del gruppo di appartenenza e l’attitudine poetica
attinente le istanze più intime della persona,”che pure continuano
ad agire , a motivare e a formare la persona nel suo intimo,
benché non entrino nel quadro culturale socialmente
prescritto e condiviso”(pag, 18).
Il processo della Formazione Personale inteso come tecnica attiva,
serve “a bilanciare e a integrare la necessità mimetica quotidiana
con la disposizione poetica normalmente assopita……riducendo
l’effetto dei compromessi che l’attitudine mimetica spesso
impone”(pag,18)
La mimesi e cioè l’imitazione, pur essendo necessaria
per acquisire e condividere la cultura del gruppo di appartenenza,
aliena dalle istanze personali che il soggetto-persona prova e sente.
Ma come si realizza la Formazione Personale?
Attraverso la Psicotecnica :Psicotecnica è un termine composto
da Psiche e Techne che nel loro significato originale alludono,
il primo all’anima, alla mente, all’elan vitale, al soffio vitale
(non al corpo sistema nervoso) e quindi alla vita,
fenomenologicamente intesa ,“ovvero ciò che è la vita
per chi la vive”(pag22), mentre l’altro, Techne sempre
nel significato originario “è l’arte, la disposizione espressiva
del soggetto, l’immaginazione, la fantasia, la capacità generativa
e creativa. Psicotecnica è dunque l’arte di lasciare che
ciascun pensiero prenda la sua propria forma , mediante
i suoi propri atti espressivi”.(pag, 22)
D’altro canto nel Cratilo(414 b) Platone fa derivare techne
da hexis nou , che significa :essere padrone e disporre della
propria mente.
La psicotecnica è uno degli strumenti tipici del lavoro psicologico,
diretti ad aiutare le persone a conoscere e a migliorare
le proprie capacità emotive, diversa dalla psicoterapia
che ha come compito precipuo la guarigione della malattia
mentale.
Il testo si snoda, muovendo da questa differenza fondamentale,
che spesso viene dimenticata (d’altro canto tutta la nostra
conoscenza si fonda sulla differenza. Benjamin Worf diceva
che in un universo,in cui tutto è azzurro non è possibile elaborare
il concetto di azzurrità, perché non ci sono colori di contrasto)
tra Psicotecnica e Psicoterapiaaidentificando la prima come
discendente dalla vecchia locuzione greca therapeia,
termine dalla complessa e ricca polisemia, che stava ad indicare
appunto “prendersi cura dell’esistenza e della condizione umana
di qualcuno , ovvero coltivarla rendendola più efficace”(pag19),
mentre l’altra si riferisce all’organismo corpo oggetto
della scienza, più propriamente identificata dal termine moderno
di terapia.
“E’ tuttavia molto diffusa, lo si è già ricordato, la confusione
fra intervento psicologico e psicoterapia.
Avviene , infatti con una certa frequenza che una persona
si rivolga allo psicologo per favorire la propria formazione personale
e che lo psicologo definisca invece il proprio contributo personale
al riguardo come psicoterapia”(pag, 21.)
Questo è il risultato dice il professor Felice Perussia, di un intreccio
complesso tra aspetti di natura scientifica e filosofica e aspetti
finalizzati a perseguire obiettivi di natura economica e
corporativo-sindacale.
Il processo di Formazione Personale, “ non si occupa di estirpare
una malattia o un agente patogeno, non è un intervento
di tipo bio-medico, ma riguarda il dare forma alla persona ,
ovvero alla personalità”(pag, 17 ).” si declina attraverso
la therapeia
in una molteplicità di tecniche attive che pur venendo definite
con nomi diversi, psicodrammi, simulazioni, ,playback theatre,
pedagogie attive, drammatizzazioni , perseguono le stesse finalità.
Il termine Counseling psicologico non è dunque che la versione
moderna, scientificamente rinnovata e teoreticamente
più consapevole(alla luce delle moderne conoscenze
sviluppate dalla psicologia, soprattutto in “questi
ultimi due secoli), di quell’attitudine, che si propone di realizzare
la therapeia per il tramite della consultatio” ”(pag, 21, 22)
Esso viene attraversato,come abbiamo già visto, facendo
riferimento ad una linguistica delle origini, senza quelle forzature
che spesso abitano l’ideologia, facendo solo ricorso ad una
definizione che lo connota come appartenente a quel settore
della psicologia che non persegue fini diretti a ripristinare
una fisiologia mentale compromessa
da una malattia, per guarirla , qual è l’azione finalizzata
della Psicoterapia, bensì si prende cura del soggetto,
attraverso la Psicotecnica.
Una più adeguata connotazione dello psicologo che attua
la therapeia attraverso la psicotecnica , è quella di psico-agogo
o psico-pompo o psico-corago(termini classici per indicare
il conduttore-condottiero-guida-accompagnatore-radunatore
-convocatore delle anime-respiri-sospiri-spiriti”) (pag,32)
Questa ampia e complessa terminologia immaginifica vuole
alludere al fatto che chi attua la therapeia non muove
da una verità –certezza assoluta, sa di avere una strada,
ma non sa quale strada è,
né dove porta, bensì ha l’obiettivo “di aiutare ogni singola psiche
ad andare per la propria strada; a respirare la sua propria aria ,
invece che insufflare un fiato di seconda mano, sudatogli addosso
da quanti pretendono di avere ragione anche per lei;ad accettare
la propria naturale daltonia invece che obbligarsi a convincersi
che i colori sono come un altro(l’insegnante,lo psicoterapeuta,
lo scienziato) li vede (in genere, pretendendo, più o meno
esplicitamente o implicitamente che la sua di lui, sia l’unica
visione corretta e oggettiva del mondo), invece che come
li vede lei.”(pag 32).
Siamo giunti alla maieutica socratica, di cui il prof Perussia distingue
due diversi livelli logici e cioè il primo è quello concettualizzato
attraverso la ratio , quindi diretto ad attivare le potenzialità già
presenti nella persona, ma delle quali questa non ha
piena consapevolezza.
In questo caso la finalità del maieuta psicologo che ritiene esista
una realtà essente ed oggettivabile,( la sua teoria) già
potenzialmente posseduta dal soggetto, è quella di condurlo
alla conquista della medesima, per estirpare in lui l’errore,
l’ignoranza, la malattia e condurlo viceversa alla salute,
alla conoscenza , alla verità; il secondo caso è quello
concettualizzato attraverso la doxa, per cui il counselor punta
alla opinione(doxa), dove ognuno realizza
a suo modo la sua visione, indipendentemente dalla
visione ancorché scientifica dello psicologo.
Egli, lo psicologo, può continuare a pensare (dentro di sé)che
il suo assistito sia in errore, ma non può costringerlo
a seguire le sue prescrizioni.(in una relazione asimmetrica,
non sempre è facile, per il potere prescrittivo che detiene l’esperto,
soprattutto quando nell’assistito non funzionano in maniera
adeguata i processi di metacognizione del tipo…
può essere che lui sbaglia…perché non tutti la pensano così).
Alla fine questa è la tesi sposata dal prof. Perussia che condivido
in pieno e cioè, che lo psicologo-counselor, professionista
comunque dell’aiuto e quindi psicagogo,” deve far venire
la persona alla luce senza però
cercare di farla entrare necessariamente nel cono di una
qualche illuminante scienza prestabilita….
.Perchè la maieutica scientifica vuole portare ogni individuo dentro
alla città della scienza. Mentre la maieutica psicotecnica vuole solo
lasciare che ciascuna persona vada dove si sente”(pag.35)
Questo, molto in sintesi il senso del libro, ma ci sono molti altri sensi
che ognuno coglierà a suo modo.
Infatti,ogni lettura è sempre un’interpretazione e questo bellissimo
(tale perché esteticamente coinvolgente)saggio pur essendo
dedicato al Counseling specificamente e stretto senso psicologico,
(attinente la professione di psicologo)contiene una tale eccedenza
di senso da attraversarlo, comprenderlo e superarlo, per le varie
complesse e articolate stratificazioni di significato cui continuamente
rinvia.
Siamo nel pieno di una simbolicità , che in quanto tale,
sappiamo bene è inafferrabile, forse la si può comprendere,
certamente non spiegare, ma sicuramente talmente ricca che anche una
lettura sprovveduta può diventare altrettanto creativa.
Qualunque lettura impegna un processo ermeneutico ancor più
quando essa presenta molteplici valenze linguistiche e simboliche,
come dice Simone Weil “Chi può lusingarsi di leggere correttamente”
Infatti il libro, a mio avviso, può rivolgersi a vari tipi di lettore
oltre ovviamente allo psicologo stretto senso cui è dedicato, ma
anche al counselor, non psicologo, visto che parliamo
di professione d’aiuto, che ha sempre a che fare con la Psi…
seppure all’interno del contesto disciplinare che definisce
l’atteggiarsi delle varie professioni di che trattasi ,
vuoi pedagogista, assistente sociale, sociologo, insegnante ecc,
funzionalmente a trarne sicuramente, molteplici spunti di riflessione .
Infine può rivolgersi anche al lettore non specialista, ma curioso, che
inizia ad interessarsi a questo itinerario di Formazione personale
che è poi l’obiettivo della Regia psicotecnica, nel suo essere diretta
propriamente “non “all’adeguamento della persona a una regola
/(un in-printing, ovvero qualcosa dall’esterno che si stampa su di lui)
bensì favorisce la ricerca e lo sviluppo di regole sue proprie
(un ex-priming, ovvero qualcosa che dall’interno
carica-riempie-innesca-applica –colora il mondo circostante in cui
si ritrova a vivere”pagg, 20, 21)….una pratica che ha a che fare
con lo zen (il quale è un atteggiamento mentale e non una teoria
messa nero su bianco”pagg, 10,11).
Un pensiero, quello rappresentato da questo saggio , come ho
già detto che presenta tante stratificazioni di significato, per questo
penso che ad esso ci si può accostare solo in chiave autoriflessiva
altrimenti non serve, a maggior ragione per chi si muove
nei meandri complessi delle professioni d’aiuto.
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J. L. Moreno: una biografia psico-drammatica
Ovvero come un vincolo diventa una risorsa
La mente come teatro, dove lo spazio scenico è usato per la rappresentazione di una trama che non è semplice riproduzione di una realtà esterna, ma dei sentimenti legati ai nodi di significazione relazionale che a essa hanno dato origine I.Fiore - Girolamo Lo Verso
La storia familiare di Moreno, come d'altro canto da lui stesso riferito nell'autobiografia, è intrinsecamente intrecciata con il suo destino quasi karmico di Profeta dello Psicodramma per cui narrerò e qui la narrazione, sarà ovviamente il risultato di informazioni tratte dalla sua autobiografia, ma anche del mio peculiare modo di percepire l'estetica di questa avventura personale e drammatica, che fu lo psicodramma per Moreno, la cui invenzione trovò il suo humus, a mio avviso , nella sua vicenda personale e familiare.
Sulla propria nascita J.L. Moreno ha fornito due versioni, di cui solo una sembra
sia veritiera, e cioè quella fornita dai suoi biografi che la fissano a Bucarest il 18 maggio 1889, e di cui riferisce l'interessato nella sua autobiografia, mentre l'altra data, 1892 è un invenzione psicodrammatica, escogitata come difesa da uno script drammatico potenzialmente patogeno, di cui diremo in appresso.
Lo stesso Moreno diceva, che lo psicodramma della sua vita, aveva preceduto lo psicodramma come metodo e di esserne stato il primo paziente- protagonista
e regista ad un tempo. 1
Ma ritorniamo alla autobiografia di Moreno, da lui stesso narrata, e verosimilmente falsa, in alcuni aspetti, ma..... psicodrammaticamente vera, dove egli riferisce di essere nato in una notte tempestosa, su una nave che attraversava il mar Nero, che avrebbe dovuto avere come meta Costanza in Romania.La nave non aveva una bandiera che ne definisse la nazionalità. “Nacqui come cittadino del mondo, un marinaio che va di mare in mare, di paese in paese, destinato a sbarcare un giorno nel porto di New York.”2
Una profezia, che si autoavvera, in quanto Moreno fu erratico, non solo per la sua attività di psichiatra, psicodrammatista, ma per la sua storia personale , in quanto figlio genitorializzato di una coppia di ebrei sefarditi, non troppo bene assortita.
Infati il padre era un anziano(Moreno Nissym Levi) commerciante di casse da morto e la madre(Pauline),”dagli orizzonti molto limitati,” ...anche se “una grande narratrice di storie, “che aveva appena sedici anni quando egli nacque, e che lo colpevolizzava anche da adulto, dicendogli, che era meglio allevare un cane piuttosto che un figlio.
Una difficile situazione familiare, una famiglia contrassegnata da una scarsa differenziazione tra i membri e quindi da scarsi confini individuali, che egli descrive così. “Le frequenti assenze di mio padre e la sua successiva separazione da noi, mise me, il primogenito, già molto presto in una particolare posizione di autorità.”3
Da questa sgradevole inversione di ruolo, che lo costringeva alla parte di figlio genitorializzato, egli si difese al punto di falsificare la data di nascita, dal 1889 al 1892, in modo da mettere il fratello William (nato veramente nel 1892, l'unico della famiglia con cui egli strutturerà il senso di una profonda appartenenza) nei panni del primogenito, e di rielaborare il suo nome(Jacob Levi) e il suo cognome, invertendo quelli anagrafici di suo padre: Moreno (di nome), e Nissim Levi (di cognome), nel 1925, dopo la morte del padre, quando andò a vivere in America.
Questi fatti di famiglia, di cui egli narra nella sua autobiografia, possono essere ritenuti esemplari dal punto di vista della terapia sistemico-relazionale, di cui egli fu il profeta.4
Moreno nel narrare di sé, spesso verbalizza il disagio per una appartenenza familiare che non lo identificava in alcun modo, sempre alla ricerca di posti dove si potesse star meglio, con conseguente disperazione della madre che lo considerava un po' pazzo, e lui stesso diceva di sé che si può essere pazzi e sani allo stesso tempo, con un messaggio trasversale diretto contro ogni patologizzazione dell’uomo e della sua maniera di essere nel mondo, che metterà in rilievo la Fenomenologia e l’Antropoanalisi, movimenti coevi, non a caso, del suo tempo, che tanto hanno influenzato vari contesti disciplinari del Novecento e più in particolare Psicologia e Psichiatria.
Egli attratto dall'idea di Dio, a cui, come lui stesso dichiara nell'autobiografia, piaceva di essere legato, all' età di circa cinque anni, nel 1894, nella sua casa a Bucarest, in assenza dei genitori, inventò la prima sessione psicodrammatica, interpretando Dio, come protagonista, attorniato, dai suoi piccoli amici, chiamati ad impersonare gli angeli, in una rocambolesca messa in scena, in cui Moreno, si adagiava su sedie affastellate una sull'altra, fino a raggiungere il soffitto, in cima al quale stava il cielo, e quindi Lui.
Da un disturbo dell'identità probabilmente legato ad un impossibile identificazione con un padre, erratico, lontano, sia per i continui viaggi, che per le molte mogli, culturalmente sradicato dalle sue origini di ebreo sefardita rumeno, che non parlava il tedesco, tant'è che pur essendosi trasferito a Vienna nel 1895 con la famiglia, non si integrò mai con la cultura del paese ospitante, eternamente in crisi, probabilmente nacque in Jacob l'idea di rivolgersi a Dio e di trovare il padre in un ideale.
La vicenda familiare di Moreno, si svolge in maniera quasi antitetica a quella di G.Bateson , di cui ho parlato in un precedente articolo,eppure entrambi, per ragioni opposte coinvolti in quel drammatico divieto che è il percorso verso l'individuazione, il primo per un eccesso di presenza paterna, l'altro per un eccesso di assenza.
Un altro episodio che si sarebbe rivelato premonitore, rispetto al futuro inventore dello psicodramma , da lui stesso narrato, riguarda il fatto che egli da piccolo affetto da rachitismo, fu guarito da una zingara.
Infatti, questa, impietosita, nel vedere la madre di Jacob piangente davanti la porta di casa, che metteva in mostra il suo dolore, quasi a chiedere aiuto ai passanti, le consigliò di curarlo, mettendolo nudo su un mucchio di sabbia, al sole. Non solo, profetizzò grandi cose per il bambino, dicendo che sarebbe diventato un grande uomo, e che la gente sarebbe venuta da tutto il mondo per vederlo:così una terapeuta selvaggia guarì,con un probabile forte potere suggestivo il piccolo.5
Anzi questo episodio, quasi karmico, nel portare simbolicamente in nuce, quelli che saranno i temi fondativi dello psicodramma moreniano, e cioè il gruppo, l'azione, lo sguardo, il contatto fisico, la partecipazione pubblica, gruppale, al conflitto, implicitamente suggerisce una riflessione, e cioè, che da una situazione potenzialmente patogena si può approdare “ad un'altro stadio di saggezza”6.
Tra un impossibile appartenenza familiare, perché non ne esistevano le condizioni, come ho già detto, Moreno stesso nella sua autobiografia dice “sfuggii ad un destino di schizofrenia”7, e quindi da uno script drammatico (gli script familiari rappresentano ”le aspettative condivise dalla famiglia di come i ruoli familiari debbano essere rispettati all’interno di contesti differenti) che sembra lo condannasse ad un destino di “paziente psichiatrico” e un bisogno altro di definirsi, di individuarsi (agli antipodi delle pompe funebri....) egli verosimilmente riuscì ad approdare a quell'apprendimento tre, attraverso “quel caos dove il pensiero diventa impossibile per la sua creatività interiore, che insieme alla spontaneità , diede luogo all’invenzione psioco-drammatica.
Ma ritorniamo a Moreno, nel momento in cui, il padre, nel 1904 trasferisce la famiglia a Berlino, egli, dopo un pò di tempo, preferisce tornare a Vienna, dove per mantenersi, fa il precettore.
Nel frattempo, la madre separatasi dal padre, lo raggiunge insieme agli altri fratelli, ma la convivenza familiare si rivela molto difficile: i fratelli e
le sorelle, guardano Moreno con soggezione e paura, considerandolo, folle, egli dal suo canto, si sente sempre più estraneo nei loro confronti.
Intanto inizia a interessarsi di letteratura religiosa, filosofica,ed estetica, accostandosi ad autori come Spinoza, Cartesio, Leibniz, Kant, Schopenauer, Nietzsche e a romanzieri come Dostoievskij , Tolstoj, quei classici che soli insegnano la discrezione, il rigore, l'humanitas, necessari per affrontare la discesa agli inferi, ineludibile, per chi si confronta con il magma delle proprie e delle altrui emozioni.
Dalle letture di questi filosofi e letterati, Moreno trae alcune considerazioni, che poi caratterizzeranno la modalità esperenziale del suo approccio psicodrammatico, in ordine al fatto che tutti questi grandi affrontavano si i grandi temi dell'esistenza, pronunciavano sermoni, predicevano il disastro, “ma nessuno saltò fuori dal libro per tuffarsi nella realtà”.
Il tema, quindi, diretto al dramma, all'azione (drama, drein: l'agire, il fare fra e insieme agli altri) alla pragmatica delle emozioni agite sul campo, sarà fondamentale per Moreno, che inizierà, lavorando con i bambini, ancora giovane studente di medicina a Vienna, nel 1908, interpretando ancora Dio, nel grande giardino ad Augarten.
Egli, seduto ai piedi di un albero, circondato dai piccoli, attratti da lui, come un flauto magico....., come riferisce nella sua autobiografia, attraverso le fiabe raccontate ai bambini, cercherà di portare un idea vivente di Dio all'interno della civiltà moderna, attraversata dall'ateismo, e dall'agnosticismo.
Il suo lavoro sarebbe stato così una dimostrazione contro la teoria psicanalitica dei geni e degli eroi, allora rampanti a Vienna, che dicevano tutti di essere pazienti un pò matti.
Alla fine, egli voleva dimostrare (questo è il pensiero tratto dalla sua autobiografia)che un uomo con tutti i segni della paranoia, della megalomania e dell'esibizionismo, con un “delirio mistico”che lo avrebbe potuto trasformare in nuovo caso Schreber! e con altre forme di cattivo adattamento sociale e individuale, poteva essere sufficientemente ben controllato e sano.
Addirittura, si proponeva come l'antitesi vivente della dottrina psicoanalitica, con cui fu sempre in polemica, e come protagonista, nella sua stessa vita, dello psicodramma.”L'unico modo per liberarsi della sindrome di Dio è rappresentarla”.
Egli racconta che, Freud mentre egli frequentava una sua lezione,nel 1912 a Vienna, quando gli altri studenti se ne erano andati, scelse lui e gli chiese cosa facesse. Moreno rispose, che mentre lui, Freud, incontrava i suoi pazienti nell'artefatto dell'ambulatorio che era il suo studio, lui li incontrava nel loro ambiente naturale.
Inoltre Freud analizzava i loro sogni, mentre lui, Moreno, cercava di infondere loro il coraggio di sognare.
Anzi significativamente nella sua autobiografia diceva che la psicanalisi e la teoria kraepeliniana lo lasciavano indifferente.... il vero guaritore è un protagonista spontaneo, al centro del gruppo, come Gesù, Budda, Socrate, Gandhi, che Freud avrebbe catalogato come pazienti.,...probabilmente compreso lui, aggiungo io:l'allusione a se stesso, tra l'altro appare chiara.
Anche se, per quanto attiene la polemica con la psicanalisi, è necessario farne una lettura contestuale e storica, nel senso che, Moreno, rifiutava la psicanalisi perchè gli psicanalisti a quel tempo dicevano di non “voler mescolare il puro oro dell'analisi con il vile metallo di tutte le altre psicoterapie,” ma in realtà egli riconosceva “la sua anima analitica,”pur ovviamente, non perdendo di vista le profonde differenze tra i fondamenti teorici di tipo metapsicologico della medesima e di tipo fenomenologico viceversa dello psicocdramma.
Sottolinea in proposito, Paola De Leonardis, come “Moreno stesso rivendichi esplicitamente e non ironicamente l'appropriatezza del termine analisi riferito allo psicodramma, nel senso, che come nella psicanalisi, attraverso la rappresentazione psicodrammatica si fa dell'archeologia oltre che dell'architettura;si riattiva il passato, lo si esplora, lo si ricostruisce insieme al soggetto; si attiva il confronto con parti interne, anche arcaiche, sconosciute e nascoste, si scoprono ruoli formati o abbozzati, ma non riconosciuti dal soggetto”
Come non scorgere, somiglianze, con la narrazione sistemica, di cui ho parlato nel capitolo precedente, seppure in un setting profondamente diverso?
Quanto detto, anche se all'analisi discorsiva di Freud, Moreno contrappose l'agire, il drama, all'interno di uno scenario, quello della vita, che ha il gruppo come supporto al singolo, e tra l'altro come osserva, a mio avviso, giustamente, Diego Napolitani “Nella vita psichica del singolo l'altro è regolarmente presente, come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, e pertanto, in questa accezione, attraverso la relazione telica più ampia ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è al tempo stesso psicologia sociale.”
Su una scia, che privilegiava l'azione e la rappresentazione, Moreno, appena ventenne, giovane studente di medicina, aveva, infatti preso in carico una ragazzina difficile, bugiarda incoercibile, di nome Elisabeth Bergner, che la madre gli aveva affidato, per l'aura di magico di guaritore che già accompagnava la sua immagine.
Moreno intuì che la bambina aveva un forte talento teatrale, per cui consigliò alla madre di iscriverla ad una scuola di arte drammatica, il risultato fu, che questa superò il conflitto familiare e divenne un attrice affermata delle scene tedesche.
Quest'episodio è significativo, rispetto al metodo adottato da Moreno, che riuscì a risolvere un conflitto psichico e relazionale potenzialmente patologico, canalizzandolo in positivo, attraverso l' interazione con gli altri.:un vincolo, in altri termini diventa una risorsa.
Lo Psicodramma in situ
In nuce si trattava già del cosiddetto “psicodramma in situ che egli come giovane medico neolaureato(si laureò in medicina a Vienna nel 1917) esperenziò, poi, fuori da un setting terapeutico propriamente detto, ma nel kairòs del vivere e cioè dovunque la vita fosse vissuta, ponesse conflitti e cioè tra marito e moglie, genitori e figli ecc.
Anzi pare, che spesso Moreno, affrontasse i problemi familiari dei suoi pazienti, elaborando diverse tecniche di rappresentazione dei conflitti discutendone apertamente con gli interessati, e facendo in modo che la riattualizzazione di episodi penosi potesse portare ad una elaborazione della tensione, verso il cambiamento.
Questa terapia della famiglia con metodo attivo, venne definita da Moreno
”teatro reciproco,”dove ognuno diventava agente terapeutico per l'altro,
attraverso la relazione telica che Moreno definisce”l’unità sociogenica , che serve a facilitare la trasmissione della nostra eredità sociale. Esso è una struttura primaria della comunicazione interpersonale in parte filogeneticamente trasmessa, ma che per esprimersi ha bisogno
di un catalizzatore e cioè la spontaneità.
Il tele è la base di tutte le relazioni spontanee e creative, in quanto espressione propria dell'essere umano ad entrare in relazione emozionale con i suoi simili,
è un organizzazione fisiologica legata a processi affettivi, che vanno dall'attrazione al rifiuto, viene proiettato a distanza ed è a differenza dell'empatia, reciproco.
L'osservazione dei gruppi, sembra presentare ridondanze, tali da far ritenere che i contatti fisici fra gli individui fossero all'origine molto stretti, e che solo attraverso una maggiore specificità del sistema nervoso, con lo sviluppo del telencefalo e dei telepercettori, gli esseri umani si sono emancipati.
Ciò nonostante, “il legame che univa i membri di un gruppo non è stato spezzato. Ne sussistono certe vestigia, le quali rappresentano forse una protezione in circostanze critiche”
Successivamente, per due anni dal 1915 al 1917, si occupò come medico di un campo di profughi italiani a Mittendorf, dove studiò le relazioni del gruppo, ponendo le basi del sociodramma, che consente di osservare le dinamiche di attrazione e rifiuto nel gruppo, compresa la leadership, e che prefigura l'approccio sistemico relazionale,secondo me.
Dal 1918 al 1922 pubblica la rivista Daimon, alla quale partecipano Max Brod, grande amico di Franz Kafka e il più autorevole dei suoi biografi, Alfred Adler, Martin Buber, con il quale Moreno trovò gradi affinità di pensiero, proprio in ordine ad alcuni temi fondamentali dell'esistenza umana , che riguardano la relazione tra uomo e uomo e cioè che l'uomo si definisce come persona e come soggettività, solo nella relazione io-tu .
Se il soggetto rimane semplice osservatore, del suo simile, la relazione si struttura tra un io e un ciò dando luogo alla manipolazione dell'altro, al predominio, alla dipendenza, che può sfociare in una patologia vera e propria.
Questo modo strutturalmente se non ontologicamente relazionale di concepire il rapporto con l'altro, esiterà nello Scritto”Invito a un incontro,” dove egli comporrà addirittura dei versi intitolati, “Motto “, che rappresentano veramente la quintessenza della sua estetica della conoscenza per sensibilità, proprio attraverso la relazione.....”un incontro di due: occhi negli occhi, volto nel volto. E quando tu sarai vicino io coglierò i tuoi occhi e li metterò al posto dei miei e tu coglierai i miei occhi e li metterai al posto dei tuoi, allora io ti guarderò coi tuoi occhi e tu mi guarderai coi miei.”
Ritengo che questa sia la massima espressione della relazione telica, di cui ho prima accennato, e dell'estetica della relazione, tanto cara a Bateson, e alla Sistemica.
Il concetto di incontro, una sorta di struttura che connette gli esseri umani è un caposaldo della teoria moreniana, in quanto fenomeno relazionale dotato di un grande potere alchemico, in ordine al cambiamento, proprio, della cosiddetta “religione dell'incontro”(movimento umanitario creato da Moreno, a Vienna, con alcuni seguaci tra il 1908 e il 1914 con fini anche terapeutici fondati su incontri di gruppo) attraverso cui una persona può diventare agente terapeutico di un altra persona, come abbiamo detto.
Da ricordare, perchè certamente significativo rispetto al concetto di storia che ho enunciato a proposito della narrazione sistemica nel precedente articolo, che la rivoluzione psicodrammatica di Moreno sorse a cavallo tra il XIX e il XX secolo, epoca in cui nacque il cosiddetto teatro naturalistico e il teatro impressionista, quest'ultimo, in particolare centrato sul mondo interiore e la soggettività dell'uomo:basti pensare ad August Strindberg, Frank Wedekind, Artur Schnitzler, che fece parte della redazione del giornale Daimon fondato da Moreno.
In questo particolare humus culturale, di grande rivoluzione artistica e antiborghese, che caratterizzò la nascita del Teatro moderno, in cui si faceva strada appunto, la nozione di verità soggettiva, che divenne centrale nella concezione di Moreno, sorse lo psicodramma, teatro terapeutico, vera mimesi di una trasfigurazione di senso del teatro tradizionalmente inteso.
Di particolare rilievo, per la corrispondenza tra la concezione del nuovo teatro e le elaborazione psicologica che ne fece Moreno, in ordine ai concetti di creatività e di spontaneità, fu la poetica del teatro del suo tempo, che trovò la suggestiva esposizione di Stanislavskij, attore regista e teorico teatrale russo. ( nato a Mosca nel 1863 ed ivi morto nel 1938)
Egli studiò soluzioni con gli attori, con improvvisazioni e ricerche sulla gestualità, approfondì , inoltre, ricerche su voce, movimento, rapporto tra testo e psiche dell'attore e nel suo “Il lavoro dell'attore su se stesso.”
Descrisse infatti, il proprio metodo, come addestramento all'espressione autentica e spontanea, attraverso l'elaborazione di tecniche atte a sviluppare la creatività, portando alla luce il “sé magico” che ciascuno possiede, e che è la risultante delle proprie esperienze emotive personali.
Moreno tenne, però, a precisare, che il suo teatro della spontaneità non aveva alcun rapporto con il metodo Stanislavskij, in quanto l'improvvisazione legata alla spontaneità propugnata da quest'ultimo, era funzionale a rivitalizzare la conservazione culturale, a produrre un grande Romeo e un grande Lear, e non a provocare cambiamento.
Moreno, in altri termini aveva capito che il teatro, poteva diventare un potente mezzo estetico, atto a curare e ad innescare il cambiamento, facendone una pratica terapeutica, che doveva coniugare la rappresentazione scenica di tipo teatrale e il mondo tragico della sofferenza del malato psichico:da un teatro trasportativo a un teatro trasformativo!
Da rammentare, d'altro canto, che sin dai suoi primordi, il Teatro aveva messo in scena la sofferenza, umana, ineludibile compagna dell'esistenza, basti pensare alla tragedia greca, che come diceva Aristotele era suscitatrice negli spettatori di quei sentimenti estetici, che sono pietà e terrore, generatori di una catarsi liberatoria, attraverso un meccanismo di proiezione e di identificazione con i personaggi del dramma.
Nel corso del XVIII secolo e del XIX secolo, in psichiatria, erano stati sperimentati tentativi di cura, sia da parte del marchese de Sade, che dei professori Reil e Hoffbauer, attraverso il teatro su pazienti, chiamati però a rappresentare, destini a loro estranei, con scarso successo.
Quindi, forse, più vicina alla concezione moreniana di un nuovo teatro, è quella proposta da Antonin Artaud, che segna un momento decisivo nella storia del teatro del Novecento, attraverso “Il teatro e il suo Doppio,”testo pubblicato nel 1938:il doppio del teatro è la vita stessa, la cui presentazione e non la rappresentazione può consentire di scoprire il vero spettacolo.
In questi climi emotivi, in queste atmosfere ricche di nuovi fermenti culturali, che attraversano l'inquieta Mitteleuropa, Moreno, fondò appunto lo Stegreiftheater, il teatro della spontaneità, dove egli condusse drammatizzazioni a canovaccio, muovendo dai suggerimenti forniti dal pubblico, in modo che alla drammaturgia si sostituisse la creaturgia:ogni spettatore diventava creattore delle proprie battute;cade, così la quarta parete, e quindi tra palco e platea si crea un interscambio.
Questo fu lo scenario in cui organizzò la prima sessione psicodrammatica ufficiale, in un famoso teatro il Komodienhaus, senza attori e senza testo, davanti a un pubblico di più di mille persone.
L'intento di Moreno era quello di curare una sindrome culturale patologica, nella Vienna del dopoguerra, dove non c'era nessun re, nessun leader, e l'ultimo monarca asburgico era fuggito in Italia.
Quando si alzò il sipario, il palcoscenico vuoto aveva come solo ornamento una poltrona rossa e dorata, dallo schienale alto e imponente che sembrava il trono di un re.
Erano presenti politici, ministri scrittori, che Moreno invitò a salire sul palcoscenico, per recitare la parte del re, e quindi il dramma collettivo di un Austria lacerata dai conflitti, alla ricerca della propria anima.
Tutti si affollarono su quel palcoscenico vuoto, che però restò “vuoto,” perchè nessuno significativamente riuscì a dare vita a “quel trono”: fu un fiasco.... rivelatore della crisi, e cioè dell'effettivo vuoto di potere che logorava la Vienna post asburgica.
Moreno, intanto, nell'Austria in cui si diffondeva il nazionalsocialismo, come ebreo, cominciò ad avere serie difficoltà, che egli esplicita nella sua autobiografia, narrando di un episodio di aggressione, in cui per difendersi da un nazista che lo aveva apostrofato come “ebreo,” nello sferrargli un pugno, riuscì a metterlo in fuga attraverso quasi “un incantesimo carismatico”.
Quì è interessante, come Moreno qualifica l'episodio, sottolineando il potere connotativo della parola, che con i suoi rinvii di senso, definisce la relazione e le sue regole...”Che il Mosè storico fosse egiziano o ebreo, è irrilevante:divenne ebreo nel momento che abbattè quell'egiziano. Allo stesso modo divenni ebreo nel momento che in cui atterrai quel nazista.”
Quest'episodio, però, gli fa comprendere che è venuto il momento di lasciare l'Austria, per cui nel 1925 si trasferisce in America, a Beacon.
Quì aprirà nel 1936, il suo primo teatro terapeutico presso il Beacon Institute, articolato in Centro terapeutico, Centro di formazione e Centro di produzione editoriale, dedicato alle sue opere.
Introduce la psicoterapia di gruppo, settore molto diffuso in America, e mette a punto la sociometria, negli anni 30, funzionale allo studio delle relazioni interpersonali e delle caratteristiche psicosociali di una collettività.
Quest'ultima tecnica, sperimentata su ragazze ricoverate in un riformatorio americano e sui detenuti del carcere di Sing Sing, è tuttora utilizzata in molti contesti socio-educativi.
Pubblica tre volumi sullo psicodramma, oltre ad un giornale sulla psicoterapia di gruppo, e riesce a diffondere il suo metodo in tutto il mondo, ma soprattutto in USA e in America latina.
Vorrei concludere con le stesse parole con cui Moreno chiude la sua autobiografia e che sembrano riecheggiare il tema della struttura che connette, di batesoniana memoria, tutti gli esseri viventi con l'universo intero, in una sorta di religiosa immanenza...”la domanda finale è come concretizzare l'immagine di Dio Padre.
Un modo di espandersi quando si ha solo un semplice corpo di uomo è essere l'intero universo, “espandersi come esso, avere più cervello, più occhi, più braccia più gambe, più polmoni, più cuore. Un' altro modo è di accogliere tutto ciò che è già universo, tutta la gente, riunirla, tutto ciò che è separato, uomo e donna, uomo e animale, uomo e pianta, uomo e pianeti e stelle, integrazione del mondo.”
Questa era la sua identificazione con Dio Padre, da cui aveva mutuato quella spontaneità e quella creatività, con cui era riuscito ad approdare a quell'apprendimento 3, al suo script psicodrammatico, senza cadere “lungo il margine della strada”, come Martin Bateson, finendo tra coloro cui “spesso la psichiatria attribuisce la qualifica di psicopatici,” anzichè a quella categoria cui appartiene più spesso il genio, come nel caso di Moreno, la cui migliore connotazione vorrei ancora trarla da una riflessione di G. Bateson, per la forte risonanza estetica che riesce a conferire alla vicenda umana e psicodrammatica del Nostro.. “Per altri più creativi, la risoluzione dei contrari rivela un mondo in cui l'identità personale si fonda con tutti i processi di relazione, formando una vasta ecologia d'interazione cosmica. Sembra quasi miracoloso che alcuni di costoro possano sopravvivere, ma forse alcuni sono salvati dall'essere spazzati via in un empito oceanico di sensazioni dalla loro capacità di concentrarsi sulle minuzie della vita:è come se ogni particolare dell'universo offrisse una visione del tutto.
Questi, sono coloro per cui Blake scrisse il famoso consiglio in Auguries of Innocence e cioè “Vedere il Mondo in un granello di sabbia,/e un Paradiso in un fiore selvatico/racchiudere l'Infinito nella palma della tua mano/ e l'Eternità in un ora.”
1 2002 Jacob Levi Moreno, Il profeta dello psicodramma, Di Rienzo Editore, pag.38
2 ibidem pag 14
3 ibidem pag 22
4 ibidem , dalla prefazione di Ottavio Rosati pag. 8
5 ibidem pag 9
6 G.Bateson, Una sacra unità, op. citata, pag 422.
7 Dall'autobiografia,pag 37
8”John Byng –Hall, Le Trame della famiglia, Ed Cortina 2006 pag1
Dall’autobiografia op. citata, pag.34
, 2004 G.Gasca, Psicodramma Analitico,pag.52, ed Franco Angeli
1987, Diego Napolitani, Individualità e gruppalità, pag 260, Bollati Boringhieri, Torino,
1980, Moreno, Il teatro della spontaneità, Nuova Guaraldi, Firenze,, pag. 235
Grete Anne Leutz, Rappresentare la vita, pag 36, ed Borla
IL Profeta dello psicodramma, op citata, pag. 109
1976, G. Bateson , Verso un ecologia della mente, ed Adelphi , pag 335
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