Gregory Bateson: una narrazione tra biografia ed epistemologia |
Incontro con sé stessi significa anzitutto incontro con la propria ombra. L'ombra è in verità come una gola montana, una porta angusta la cui stretta non è risparmiata a chiunque discenda alla profonda sorgente Gli archetipi dell'inconscio collettivo (1934-1954) Carl Gustav Jung
E' mio personale convincimento, e ritengo, non solo mio, che tutte le teorie riguardanti le cose dell'anima, siano abitate dal forte carico di soggettività dei loro autori; per dirla con Bateson, costituiscono veramente un inestricabile intreccio tra epistemologia con la e minuscola ed epistemologia con la E maiuscola, come tali inattraversabili solo con le coordinate della ragione discorsiva, ma più spesso, attraverso i rinvii laceranti del cuore. Il mio incontro con Bateson risale a circa vent’anni fa, quando mi accostai alla sua Ecologia della mente, che compresi molto più tardi, per una sorta di hybris mentalistica, “di pregiudizio”, che mi impediva di percepire esteticamente, prima di tutto la mia relazione con quest’autore angloamericano, che vedeva nell'atto del conoscere un processo di costruzione inventiva e non di ricezione passiva: “fra noi e le cose come sono c’è sempre un filtro creativo”. Un processo inconsapevole, non assimilabile all’ordine della spiegazione,(erklaren) il cui significato è dato, anticipato dalla ragione, ma a quello estetico di sentirsi e di percepire, che appartiene all’ordine simbolico, ad un ordine di senso molto più complesso, che come tale oltrepassa il primo: esso attiene all'ordine della comprensione (verstehen), che guarda all'uomo non come apparato psichico o cerebrale, ma come apertura progettuale, che nessun metodo scientifico può valutare e definire chiudendolo nei limiti angusti della spiegazione. Giustamente, in una raccolta di saggi dal titolo, “Attraverso Bateson”, nella bella introduzione di Sergio Manghi, leggiamo: “così come per un fiore, ci sono almeno due modi per accostare l’opera di uno studioso. Uno viene dal pensarla di fronte a noi:essa ci parla di sé e nulla più. L’altro di pensarla in relazione a noi: essa ci dice allora qualcosa di più:parla anche di noi. Modo frontale e modo auto riflessivo, potremmo chiamarli” (S. Manghi, 1998, pag. 1) Che significa? Significa che a Bateson, seppure attraverso fraintendimenti, che possono comunque diventare creativi, bisogna accostarsi, comprendendo (verstehen) - e questo è un atto ermeneutico - non spiegando, che “la relazione viene per prima, precede” (G. Bateson, 1984, pag. 179) ed in quanto struttura che connette, fonda l’idea che tutti gli organismi viventi siamo parte danzante di una più ampia danza di parti interagenti (modo auto riflessivo, direi quasi mistico, che connette tutti gli esseri viventi). L'accoppiamento senso motorio, mente – corpo - ambiente, costituisce per Bateson una unità inscindibile, una danza, appunto, di parti interagenti, che caratterizza l'approccio estetico relazionale, come maniera di abitare ed essere al mondo, attraverso relazioni, pattern, configurazioni, combinazioni di messaggi e di livelli logici, grovigli di metafore, climi emotivi, sensibilità. Osserva Bateson “con buona pace dei logici, tutto il comportamento animale tutta l’anatomia ripetitiva e tutta l’evoluzione biologica, sono ciascuno al suo interno, tenuti insieme da sillogismi in erba” (G. Bateson, M. C. Bateson, 1989, pag.49) Quest'ultimi, ben diversi dai sillogismi della logica tradizionale, cosiddetti in Barbara, in cui i membri di una classe condividono il medesimo predicato (esempio tipico: gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, Socrate morirà) sono fondati sulla connessione: il predicato connette i due elementi presenti nelle premesse sillogistiche l'erba e l'uomo, come nell'esempio batesoniano: “l’erba è mortale, gli uomini sono mortali, gli uomini sono erba.”(Bateson, 1972, pag. 248) E l'Epistemologia batesoniana, fondata sull'ordine della comprensione, si esprime, appunto, attraverso connessioni e differenze “in erba” tra entità diverse, attraverso il metodo della giustapposizione, che genera altre somiglianze, tali che la “struttura che connette riguarda vari aspetti e livelli della relazione, altro dalle logica finalistica di stampo razionalistico […] quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me ? E me con voi e tutti e sei noi con l’ameba da una parte e lo schizofrenico dall’altra?” (G. Bateson 1984, pag. 21) Su questa scia di connessioni , che abduttivamente travalicano i nessi logici di tipo grammaticale, ho cercato di guardare tra le maglie dell'Epistemologia batesoniana, in cui ho creduto di scorgere il rinvio, a mio avviso, ad una sorta di commistione, di trasposizione di alcuni temi che caratterizzano la sua biografia, (senza, certamente, voler ridurre la complessità del suo pensiero alla medesima) e che cercherò di rappresentare, attraverso le parole dello stesso Bateson, con le ineliminabili risonanze della mia epistemologia con la e minuscola, ricordando che “tra noi e le cose come sono c'è sempre un filtro creativo”. Con questa premessa, che ritengo necessaria, mi accosto, a questa mia narrazione, attraverso Gregory Bateson. G. Bateson appartenente all’aristocrazia intellettuale, (al cosiddetto Circolo delle famiglie accademiche) figlio di William, eminente scienziato naturale, genetista, nasce a Grantchester il 9 maggio 1904, in un momento in cui il padre è impegnato nella fondazione di una nuova disciplina, la genetica, così da lui stesso denominata, derivante dalla rielaborazione delle leggi di Mendel. La nascita di un figlio, in quel momento di grande impegno, non viene accolta con grande entusiasmo. Nonostante gli venga dato il nome Gregory, in onore di Gregor Mendel, non avrà la stessa attenzione, le stesse conferme di cui godranno i fratelli maggiori John e Martin. Ricorda, in proposito, l'antropologa Margaret Mead, prima moglie di Bateson e sua compagna (con la quale, nonostante il divorzio, era rimasta sempre viva quell’intesa intellettuale, sorta in quel contesto quasi mistico, che era per Lui l’estetica della relazione, anche quando l’amore era finito) nell’erratica avventura della ricerca antropologica,che erano loro a ricevere tutte le attenzioni e che erano solo loro, per il padre, destinati a diventare bravi. Infatti, quando nasce Gregory, nella fattoria dove abita con la famiglia, William Bateson è intento a portare a termine il suddetto progetto di rielaborazione, al quale si dedica, coadiuvato dalla moglie, sperimentando incroci di piante e animali. Egli educa Gregory, insieme ai due fratelli maggiori John e Martin, all’osservazione scientifica, e alla sensibilità verso la variegata complessità di tutto ciò che presenta il mondo della natura. Vede soprattutto in John, il figlio maggiore, quello più portato a continuare la sua opera, ma questi muore appena ventenne in guerra. Quest’evento luttuoso, fa sì che William cerchi di imporre a Martin, il secondogenito, di prendere il posto del fratello scomparso; da lì un conflitto insanabile. Martin era studioso di letteratura e autore di un saggio sulle difficoltà della paternità, (significativo di un probabile processo di identificazioni e di proiezioni? Drammatizzazione di un gioco di ruoli volto ad esorcizzare il terrore e tremore di un invincibile confronto con il padre?) iniziato dal padre all’amore per i classici, con letture fatte da lui stesso, dal Vecchio Testamento e da brani di Shakespeare, a parte l’amore per il poeta William Blake (tanto esteticamente presente nell’opera batesoniana) di cui venivano lette le opere, oltre che ammirati i quadri. Aveva scelto l’ impraticabile via dell’individuazione, in una famiglia che, come ebbe a dire lo stesso Bateson, l’ethos tematico era definito da William, che “vedeva l’arte e la letteratura, come una grande cosa del mondo, ma alle quali i Bateson, non avrebbero potuto contribuire.” (D. Lipset, 1982, pag 31) Martin, probabilmente, sconvolto per il conflitto con il padre, verosimilmente, vissuto come irresolubile in un momento reso emotivamente difficile anche da una delusione sentimentale, si suicida a 22 anni, a Piccadilly Circus, significativamente lo stesso giorno del compleanno di John, il fratello morto in guerra, con un messaggio trasversale, al padre, ritengo, terribile. È probabile che questa educazione sentimentale, tematizzata dal divieto all'individuazione (perché omen e nomen, cioè il nome Bateson definiva il destino dei figli maschi, una vera e propria saga, alla quale non ci si poteva sottrarre, pena l'esclusione o l'autodistruzione, come abbiamo visto) contrassegnata da un esperienza così lacerante, abbia rappresentato un cofattore nell’intuizione che Bateson ebbe rispetto all’estetica della relazione e quindi all’attenzione, che egli dedicò alle patologie della comunicazione, in particolare a quelle inerenti la famiglia. Vediamo come in alcuni passi dei suoi scritti, è possibile intravedere, i segni non soltanto di riflessioni sul campo, ma di un sottosuolo dell'anima, in cui i rinvii impliciti sembrano quelli di un'accorata enfasi, veicolata dai messaggi indiretti delle parole, in cui non si può non scorgere la sua esperienza idiosincratica e dolorosa di figlio, o forse anche di spettatore, rispetto al fratello Martin suicida, entrambi attraversati dall'esperienza del diniego all'individuazione: “una condotta affettuosa non implica necessariamente l’affetto; essa per esempio, può esplicarsi nelle forme di fare la cosa giusta, instillare la bontà e così via Che cos'è una persona? Che cosa intendo quando dico io Forse ciò che ciascuno di noi intende per “io” è un aggregato di abitudini.....se Tizio aggredisce le abitudini ...che sono state poste in essere come componenti del mio rapporto con lui, allora tizio nega il mio io, e se questa persona per me è importante, questa negazione sarà ancor più dolorosa” (G. Bateson, 1972) E poi ancora: “la famiglia schizofrenica è un'organizzazione dotata di grande stabilità di azione, la cui dinamica e il cui funzionamento interno sono tali che ogni membro continuamente subisce l'esperienza della negazione dell'io” (G. Bateson 1972, pag. 257) In casa Bateson questo tema probabilmente era presente, infatti, nella parte dedicata alla tematica schizofrenica e al contesto comunicativo, che può rappresentarne un co fattore scatenante, egli ha dedicato pagine bellissime, a quella perturbante forma comunicativa, cosiddetta di doppio vincolo, che trova il suo fondamento nell’emissione allo stesso tempo di messaggi di due ordini, uno dei quali nega l’altro: un ingiunzione paradossale quindi, che mette chi la riceve, in genere coinvolto in un rapporto ad alto coinvolgimento emotivo (il bambino rispetto alla madre, per esempio) nella condizione di non poter rispondere in maniera appropriata, e di non poter meta comunicare, per il divieto implicito a farlo, e quindi esplicitare i sentimenti reali che si celano dietro le parole . Ma proprio da quella forma paradossale, da cui potrebbe originarsi la patologia psicotica, emergono l’invenzione, la poesia, il rito, il sacramento, il sogno, il gioco. Ciò significa, che al di là di ogni dualismo norma-patologia, il double bind, è una categoria strutturalmente e ineludibilmente presente nella comunicazione, che può anche evolvere in una forma non univocamente patogena, anzi da cui può emergere “un altro stadio di saggezza” (Bateson, 1997,pag.422 ) o può diventare addirittura “una vasta e sofferta cerimonia di iniziazione dell’io” (Bateson, 1962, pag. XIX). Una cerimonia d'iniziazione, come per John Perceval, il figlio psicotico di Spencer Perceval, ucciso a sua volta da un pazzo e per un ironico scherzo del destino, primo ministro di Giorgio III, il re pazzo, che ricoverato in manicomio, in preda ad una psicosi, per due anni, dal 1830 al 1832, riesce a guarire. Una guarigione, curandosi da sé, come egli stesso riferisce, nelle sue accorate memorie e quindi non attraverso il trattamento sanitario cui è stato sottoposto durante la degenza, ma nonostante e a dispetto “di esso”. Come dice Paolo Bertrando, che è il curatore del testo italiano del “Perceval” batesoniano, Bateson si congeda dalla psichiatria, nella quale vede solo una tecnologia dormitiva (nonostante, suo malgrado, sia stato uno dei padri fondatori della Terapia familiare), diretta alla cura di una pretesa condizione di malattia, dal momento che non crede esista, né tanto meno possa essere enunciata una condizione umana “normale.” Non vorrei essere sacrilega, ma è probabile che Martin e Gregory abbiano dovuto attraversare “quel caos dove il pensiero diventa impossibile” (Bateson,1984 pag. 192) nella loro lotta per l'individuazione: il primo implodendo, verso, per lui, un inattingibile apprendimento 3, quindi, cadendo “lungo il margine della strada” (Bateson, 1972, pag. 335) per gli esiti del deuterapprendimento (un apprendere ad apprendere, che si struttura attraverso sequenze di relazioni significative apprese nella prima infanzia,è inconscio,tende sempre ad autoconvalidarsi ed è inestirpabile) l'altro, cioè Gregory, approdando forse ad un apprendimento 3 “attraverso una vasta e sofferta cerimonia di iniziazione dell'io”? (Bateson, 1962, pag. XIX) Ma cos'è per Bateson l'apprendimento 3? Esso riguarda l'apprendere sull'apprendimento 2, fenomeno per sé stesso difficile da descrivere e da immaginare anche per gli studiosi, in quanto esseri umani, poiché attiene ad una profonda riorganizzazione del carattere, che può avvenire nel corso di una psicoterapia, di una crisi religiosa o esistenziale, anche se non è detto che ciò accada. È già importante che detto processo, potenzialmente pericoloso, in quanto “alcuni cadono lungo il margine della strada”(Bateson 1972, pag335) e sono quelli che la psichiatria definisce psicopatici, porti ad una maggiore flessibilità nelle premesse acquisite durante l'apprendimento due, mentre “per altri più creativi la soluzione dei contrari rivela un mondo in cui l'identità personale si fonde con tutti i processi di relazione, formando una vasta ecologia o estetica di interazione cosmica” (Bateson, 1972, pag.335). La soluzione dei contrari era la difficoltà di conciliare lo script intellettual- naturalista della dinastia accademica dei Bateson, con le istanze di una difficile individuazione? Vediamo meglio da vicino, cercando di avvicinarci esteticamente a quello che potrà essere stato l'attraversamento di Gregory dopo la morte di Martin. Verosimilmente lo script familiare gli imponeva in quanto unico sopravvissuto dei figli di William, quello non desiderato e mai considerato all’altezza dei fratelli di proseguirne la pesante eredità. Lo stesso Bateson riferisce il suo biografo diceva di sé “ero sempre uno stupido. O credevo di essere etichettato così, pensavo probabilmente che lo ero. Egli (William Bateson) era sempre un po' imbarazzato per me” (D. Lipset,1982, pag. 27) Raccontava Bateson, che il padre quando vinse la prima onorificenza, dopo aver sostenuto gli esami presso il college che frequentava, aveva detto “è bello sapere che tu sei un poco meglio degli altri, Gregory” (Lipset 1982, pag.27 ) Come sappiamo gli script familiari rappresentano “le aspettative condivise dalla famiglia di come i ruoli familiari debbano essere rispettati all’interno di contesti differenti”. (J. Byng-Hall, 1995, pag. 18) Aspettativa, significa l’anticipazione di ciò che deve essere detto e fatto nel contesto delle relazioni familiari, ed insieme la pressione da parte della famiglia, affinché i ruoli siano rispettati come da copione. Inoltre se uno dei membri non rispetta la prescrizione assegnatagli, la medesima può essere trasferita ad un altro membro. Gli script familiari coinvolgono più generazioni: in casa Bateson lo script intelletual-naturalista si tramandava da generazioni ed ora, era passato da John a Martin ed infine a Gregory. Però quest’ultimo, man mano si era reso conto che la biologia non era la sua vocazione, perché dominio del padre, ed avendo, inoltre subito grosse trasformazioni, quale l’osservazione al microscopio in laboratorio, era diventata fredda e impersonale, molto lontana dall’esplorazione sul campo e dal lavoro nelle serre e negli allevamenti, qual’ era stato l’approccio di William Bateson; in altri termini aveva perso il suo l'incanto e cioè l'estetica della relazione, la conoscenza per sensibilità. Da qui la decisione di abbandonare la biologia e di dedicarsi agli studi antropologici, questa volta, nonostante, William non approvasse la scelta del figlio, ma avendo perso già due figli, non volle rompere con Gregory. D’altro canto l’antropologia, agli inizi del secolo, rientrava nel novero delle scienze naturali, così, per Bateson, inizia l’avventura dell’antropologia. In questo contesto tra gli Iatmul, venne colpito da un bizzarro rito, il Naven, che coinvolgeva il clan, ogni volta che un suo giovane membro compiva per la prima volta un atto da adulto, socialmente importante. L’approccio struttural-funzionalista di Radcliffe - Brown, suo maestro, centrato su aspetti troppo formali, si era rivelato inadeguato alla comprensione dei significati del rito, per cui, Bateson, avvertendo una sensazione di fallimento, sollecita l’invio di un compagno di ricerca . Nel 1932, arriva l’antropologa americana Margaret Mead, con cui inizia lunghe conversazioni, attraverso le quali, comprende, come il Naven, per essere correttamente interpretato deve essere contestualizzato attraverso i momenti che ne scandiscono i vari aspetti emotivi. Il tema estetico della conoscenza per sensibilità e della struttura che connette,come è facile intuire, era fondativo nella sua speculazione, faceva parte, direi, del suo apprendimento 2, per averlo mutuato dagli insegnamenti del padre, di cui testualmente diceva “una sensazione vagamente mistica, che si debbano cercare gli stessi tipi di processi in tutti i campi dei fenomeni naturali che ci si possa aspettare di trovare all’opera gli stessi tipi di legge nella struttura di un cristallo come nella struttura della società, o che la segmentazione di un verme di terra si possa realmente comparare al processo di formazione delle colonne basaltiche”. (Bateson, 1972, pag.74) Solo che Bateson, di questo principio estetico ne aveva fatto una riclassificazione logica, arricchendolo di significati altri, attraverso l'esperienza antropologica e psichiatrica, e forse una sofferta esperienza familiare. D'altro canto,come ho già detto in premessa, è mio personale convincimento, che la sua speculazione, come epistemologo, psichiatra, antropologo non può essere stata altro dalla sua biografia come persona, a parte un trattamento analitico di tipo junghiano, nonostante la sua avversione per la psicoterapia. In quest'ultima egli vedeva come immanente, la minaccia, tipica d'altro canto di tutti i contesti di cura, di trasformarsi in una manipolazione dell'altro, e quindi di essere anti-esteticamente fondata sul primato della finalità cosciente (cambiare le persone intervenendo su di esse..). Infatti, quando intraprenderà la grande avventura con la psichiatria, che durerà più di dodici anni, dal 1949 al 1963, e per la quale è principalmente ricordato, parteciperà a convegni, seminari, frequenta reparti ospedalieri, assisterà a sedute terapeutiche, ma come dirà al suo biografo D. Lipset, la sua domanda è sempre la stessa: “mi interessano, i principi generali e i criteri che Lei usa per riconoscere la salute mentale e le idee implicite ed esplicite, che inquadrano e determinano la situazione terapeutica”. (D. Lipset, pag.187) Una speculazione complessa, agita sempre all’interno di una continua ricerca di connessioni tra suoi molteplici saperi e la struttura che connette:dalla biologia alla epistemologia, dall’antropologia alla psichiatria, e perché no anche alla letteratura . Detti saperi, che egli integrò nella sua visione del mondo, si muovevano quindi, sempre all'interno dell'estetica della relazione, cioè dell'idea che il processo interattivo, proprio dei sistemi viventi, si produce a vari livelli organizzativi, individuali, sovraindividuali, subindividuali; conoscenza che connette tutti gli esseri viventi, per simmetrie e omologie seriali. Essa riguarda il mondo dell'informazione, delle differenze, delle relazioni e della comunicazione, distinto ma non contrapposto al mondo dei non viventi, detto pleroma, che è quello dell'energia, delle forze degli urti. Con accenti quasi poetici, che caratterizzano l'estetica batesoniana della relazione, così si esprime in proposito, M.C. Bateson: “Di tutte le metafore esistenti, quella più centrale e cospicua, a disposizione di tutti gli esseri umani è il sé. Qui non intendo solo il costrutto psicologico del sé, ma l’intero essere, psiche e soma, il luogo dove per ciascuno di noi si incontrano Creatura e Pleroma. Il ricorso all’autoconoscenza, come modello per capire gli altri, sulla base di somiglianze o congruenze, lo si potrebbe chiamare comprensione , ma il termine migliore nell’uso corrente mi sembra empatia..Non si deve pensare solo all’empatia tra terapeuta e paziente, ma anche il contadino cui si sia inaridito il raccolto, sente la morte dei suoi campi nel proprio corpo.” (Bateson e Bateson 1989, pag.291) In questa prospettiva, per una comprensione estetica della vita, è necessaria una visione binoculare, uno stile di pensiero, che coniughi razionale ed emozionale, analogico ed analitico, verbale ed iconico, formale e computazionale. Una weltanschauung, di cui fa parte anche la dualità della relazione tra osservatore e osservato, una relazione che si produce per differenza e che “non è interna alla singola persona:non ha senso di parlare di dipendenza, di aggressività,o di orgoglio e così via. Tutte queste parole affondano le loro radici in ciò che accade tra una persona e l’altra, non in qualcosa che sta dentro una sola persona………la relazione viene per prima, precede…Solo mantenendo ben saldi il primato e la priorità della relazione si potranno evitare spiegazioni dormitive. L’oppio non contiene un principio dormitivo, l’uomo non contiene un istinto aggressivo (G Bateson,1984, pag 179) Vorrei concludere, queste riflessioni citando l'ultimo libro che Bateson iniziò a scrivere a quattro mani con la figlia Mary Catherine, completato dalla medesima dopo la morte del padre nel 1980, che come qualcuno ha detto, è veramente al limite tra testo e testamento. Una sorta di romanzo familiare trigenerazionale, tra biografia ed epistemologia, in cui sono presenti tre generazioni legate “dalla regola di Bateson: quella biologica del capostipite, quella ecologica del figlio, quella rinarrativa della nipote”(M. Malagoli Togliatti, A. Cotugno, 1996 , pag. 49) unite da quella trama complessa che è la relazione tra le cose, relazione che sola da senso alle medesime che sarebbero altrimenti, solo “un'accozzaglia di relitti storici” (G. Bateson, M. Catherine Bateson, 1989, pag, 295). Necessariamente “deve esserci un fondo, su cui poter “cucire” queste complesse relazioni, ma la trapunta a riquadri non è la storia dei vari pezzi di stoffa di cui è fatta. E’ la loro combinazione in nuovo tessuto che da colore e calore” (ibidem) Con questa bellissima metafora, l'ombra ostinata di Gregory, che non è mai riuscito a placare del tutto il fantasma di suo padre (non è un caso, che si interroghi sul sacro ed evochi, la prima moglie Margaret Mead e il padre, entrambi morti) forse compie l'ultimo tentativo, metalogando con la figlia, di ricomporre i pezzi della sua storia, per cocostruire, attraverso tre generazioni, un tessuto che abbia un nuovo “colore e calore,” quello di “una struttura che connette”, finalmente una difficile riconciliazione tra appartenenza alla dinastia dei Bateson e individuazione?
BIBLIOGRAFIA
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l Gregory Bateson (1972), Steps to an Ecology of Mind, Chandler, San Francisco(Tr.It.Verso un' ecologia della mente, Adelphi, Milano , 1976).
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l J.Byng-Hall (1995) Rewriting Family Script, Guilford Press, New Yorck, (Tr.It. Le trame della famiglia. Attaccamento sicuro e cambiamento sistemico, Raffello Cortina, Milano, 1998.)
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l M.Malagoli Togliatti – A. Cotugno, (1996)Psicodinamica delle relazioni familiari,, Il Mulino.
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