Chi sono

va3e8920 Dott.ssa Rosanna Pizzo consulente relazionale (counselor), esperto dell'ascolto e della comunicazione e del processo di aiuto alla coppia, alla famiglia, al singolo e all'adolescente.

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Le persone si lasciano convincere più facilmente dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto piuttosto che da quelle scaturite dalla mente di altri.

Blaise Pascal

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"Ascoltare Per Educare"

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Assistente Sociale:il nome non è la cosa nominata?

 

 

Qual'è il tuo scopo in filosofia ?

                                -Indicare alla mosca la via

                            d'uscita dalla trappola.

 

                                                           L.Wittgenstein

 

 

 

                                             

 

 

 

Verso la  pratica del cambiamento

 

Mi sono già occupata nell'articolo “Assistenti Sociali e Protolinguistica dell'Assistenza,” pubblicato sul n.12 di Prospettive Sociali e Sanitarie dell'1 luglio 2004, del problema inerente l'opportunità di mantenere l'appellativo assistente sociale,  a questa categoria professionale, nonostante i profondi rivolgimenti che ne hanno spostato la collocazione in sede universitaria, precisamente con le  classi di laurea, L 39 in Servizio Sociale  e LM 87 -Servizio Sociale e Politiche Sociali

Vorrei tornare sull'argomento, e lo spunto per così dire estetico, emotivo, me lo ha fornito un'osservazione fatta da Cecilia Edelstein, in un interessante testo di recente pubblicazione (considerato, che sono anche un counselor ad indirizzo sistemico relazionale) che riporto testualmente “la storia ci insegna che spesso le professioni nascono grazie ai saperi appartenenti ad ambito altro.

Ad esempio la terapia familiare fu iniziata da social worker ed elaborata e documentata principalmente  da medici psichiatri a indirizzo psicanalitico e da studiosi delle scienze umane”[1]

Però, rispetto alla locuzione social worker, la Edelstein, precisa  in nota  testualmente:”D'ora in poi chiamerò questi professionisti social worker e non assistenti sociali per differenziarli dalla figura professionale presente in Italia, poiché le loro mansioni e la loro formazione nei paesi anglosassoni non sempre sono sovrapponibili all'esperienza italiana:nelle citazioni di traduzione resterò fedele al testo tradotto.[2]

Che significa questa  precisazione,  pertinente si, ma che sembra ignorare in parte il cambiamento che ha attraversato questa professione?

   

Significa, ancora, differenza, lontananza tra l'assistente sociale italiano e il social worker americano, che come ho già precisato nell'articolo su citato, è approdato alla laurea (esattamente bachelor's degree conseguibile dopo quattro anni)sin dal 1940, e che agisce  la professione dopo aver frequentato un master di uno due anni.

Inoltre i social worker, dopo opportuno percorso formativo e dopo l'approvazione della legge antitrust (beati loro!) possono esercitare la professione di psicanalisti, tant'è che la Park Avenue, la tradizionale via degli analisti a Manhattan, è disseminata di studi di analisti e social worker.

Che grande beffa è stata studiare sui testi americani, utilizzati dalle vecchie Scuole di formazione di Servizio Sociale, che hanno creato confusione, illusione e frustrazione, rispetto ad un fantomatico social worker che non era certo  speculare all'assitente sociale, italiano!

Alla fine si è creato un doppio vincolo, ( trasmissione di un messaggio che contiene contemporaneamente due ordini, di cui uno nega l'altro. Generalmente questi doppi messaggi sono uno di tipo analogico e uno di tipo verbale) rispetto alle aspettative promesse dalla formazione, con improponibili processi di identificazione tra il social worker americano e l'assistente sociale italiano:un vero e proprio parente povero, che assiste senza possedere il logos e quindi diritto alla parola, che altre professioni posseggono, come psico-logo-socio-logo,antro-pologo ecc..,.Ciò, significativamente, perchè il loro  mandato originario  appunto li legittima, per così dire, ontologicamnete al possesso del Verbo.

Non è un caso, appunto per questo lo si vuole sottolineare, che sia il significante linguistico psicologia, che l’altro  sociologia, sono stati coniati, il primo  dal riformatore e umanista tedesco Ph. Schwarzherde, più noto con il nome grecizzato di Filippo Melantone (1497-1560 ) e il secondo ad opera del filosofo  Auguste Comte,1798-1857, che la definì tale, dopo averla  in un primo tempo  denominata con il nome troppo vago, di politica , usato dagli antichi  e con  quello di fisica sociale, troppo riduttivo per una disciplina: i codici linguistici con cui le medesime  vengono denominate  sono quindi intrecciati, embricati indissolubilmente con il loro destino contestuale, di scienze accademiche…se . omen e nomen

L'Assistente Sociale, appartiene ad un neonato Servizio Sociale, che solo da poco(non troppo, in quanto già è passato un decennio ) è potuto assurgere agli onori seppure in fieri, di una disciplina e quindi di un contesto accademico

Per comodità di discorso, riprenderò in sintesi, alcune parti salienti del suddetto  articolo, per meglio argomentare sulla problematica in questione, per poi giungere a proposte, da co-costruire con tutti i colleghi interessati e con gli addetti ai lavori:dall'Università alla Politica alle Istitutuzioni, perchè solo attraverso la partecipazione e la condivisione si possono trovare nuovi domini di senso, se “ogni sistema di significazione viene elaborato al fine di produrre processi di comunicazione “[3]

Ma torniamo all'argomento e cioè a quanto già detto nell'articolo su indicato.

Sorvolerò sulla Storia delle origini del Servizio Sociale, penso abbondande-

mente nota a tutti, mi soffermerò viceversa sugli aspetti linguistici, che fanno ritenere destituibile la locuzione assistente sociale, perchè non più rispondente all'attuale destino contestuale, di tipo accademico, della professione

Premesso, che utilizzerò concetti mutuati dalla sociolinguistica , che intende il linguaggio, non tanto come codice o sistema astratto, ma come strumento fondamentale di comunicazione all'interno di una comunità sociale.

Come giustamente osservano linguisti e sociologi, oltre il linguaggio anche l'uso linguistico è strutturato ed è piuttosto l'uso sociale , e non le categorie grammaticali in se stesse, che definisce e fornisce indicazioni sulla struttura di una società.

Osserva Gadamer, muovendo dall'ermeneuitica del Novecento, il cui massimo esponente fu  il filosofo M.Heidegger, ( la nostra intera esistenza è ermeneutica e quindi la verità è frutto di interpretazione che ne diviene sua dimensione costitutiva [4]) che essere e linguaggio sono collegati, infatti  il mondo viene concepito solo grazie al linguaggio:la lingua è un luogo che abitiamo, è “la casa dell'essere”.[5]

In questa prospettiva di una lingua, come luogo che abitiamo, vorrei fissare il significato sociolinguistico  di  parole, che vuol dire  propriamente eloquio:essa  è la concreta esecuzione linguistica , l'aspetto individuale del linguaggio, da non confondere con la langue, che segue si le regole della grammatica, ma esprime anche le scelte personali e idiosincratiche di una comunità linguistica. In quanto tale la parole “è un processo di creazione sotto l'influenza determinante e prescrittiva della langue[6], la lingua, cioè, il sistema grammaticale, lessicale e fonematico esistente virtualmente in ciascun cervello.

 

 

La parole, quindi muta, poiché i significati evolvono e si sviluppano al mutare delle nostre esperienze e dei processi culturali e attraverso la comunicazione con gli altri.

Questa lunga premessa per arrivare al nostro contesto di luogo del Servizio Sociale che abitiamo attraverso l'uso della parola, della lingua ad esso attinente e che ad esso da senso. Iniziamo con la parola assistere; assistere, voce del verbo assistere, che viene così  definita dal dizionario Treccani: dal latino ad-sistere, significa stare accanto, stare vicino ad una persona per offrirle appoggio ed aiuto, o per coadiuvarla nella sua attività, o comunque per giovarle con la propria opera materiale o morale

Proseguiamo con Assistente: participio presente di assistere.

Titolo di varie attività professionali o a queste assimililabili, che si esplicano in un opera di coadiuvazione tecnica con il titolare o Responsabile dell'attività.

Nell'uso comune , sinonimo di aiutante , coadiutore e simili.

Nello stesso vocabolario leggiamo significativamente, che “nelle Università e isituti superiori,(fino al DPR dell'11 luglio del 1980, che ha dichiarato ad esaurimento questo ruolo, aprendo quello dei professori associalti)titolo del personale , che coadiuvava i professori nella ricerca scientifica e talora nell'attività didattica, limitatamente alle esercitazioni: titolo di persone che professionalmente   o no esplicano opera di assistenza nel campo religioso sociale e culturale.

Contiunuiamo con Assistente Sociale:chi (si ricorre ad un circonlocuzione che non definisce una vero professionista identificato genericamente con un asettico chi) ha il compito di istituire un collegamento tra l'ente di assistenza e l'assistito, sia operando per aiutare gli individui che non riescono ad inserirsi adeguatamente nella società, sia cercando le cause.

 

I dizionari Sabatini Coletti e Garzanti utilizzano definizioni assimilabili, con qualche differenza vediamo come.

Secondo il primo riguardo ad assistente:

Assistente: collaboratore in posizione subordinata con o senza riconoscimento giuridico, aiutante, coadiutore;

Assistente Sociale: diplomato in psicologia e legislazione sociale, che lavora presso tribunali, enti assistenziali, scuole.

Si riporta il lemma assistente sanitario perchè stranamente accomunato a quello di assistente sociale, in entrambi i due dizionari, con la seguente differenza:mentre il Sabatini Coletti definisce il primo diplomato in medicina sociale che affianca l'assistente sociale, il dizionario Garzanti aggiunge “sotto il controllo di un medico”.

 

 

 

Così, confondendo ulteriormente ruoli e funzioni vengono assimilate due figure professionali assolutamente diverse, verosimilamente accomunate solo dall'ordine di significato rinviato dalla funzione assistente, e quindi dal dipendere entrambi dal titolare dell'attività principale, in posizione subordinata , sembrerebbe in ordine di importanza.

Una volta operate queste significazioni , quello che appare chiaro e inconfutabile è la funzione simbolo operata dal prefissoide assistente, troppo

carico di risonanze polisemiche e protolinguistiche legate alla storia delle origini della parole  Assistente Sociale, che ritengo obsoleta , perchè l'aggettivo sociale è solo il contrassegno del modo in cui l'assistere  è fondativo dell'azione, cui fa riferimento ...insieme al dipendere dal titolare dell'attività principale.

D'altro canto non sembra che gli assistenti sociali si sentato a loro agio, rispetto all'immagine che rinvia loro, la locuzione che li nominalizza tali.

Si riportano a  titolo esemplificativo  i dati del sondaggio “cambieresti il nome della professione?”condotto dall'Ordine Professionale degli Assistenti sociali della Regione Siciliana. Alla data, dell'1/4/09, il portale  registrava  i seguenti dati: il 69',7% ha risposto si, mentre il 30,3% ha risposto no!Numero votanti 420 , primo voto 9 luglio 2007,ultimo 2 aprile 2009.

D'altro canto, vorrei fare un' altra osservazione sempre di tipo linguistico, che riguarda il quasi karmico stretto legame di senso, del significante linguistico assistente sociale al Servizio...Sociale, per la connessione etimologica della locuzione servizio derivante semanticamente da servus in origine guardiano (dalla radice indoeuropea swer-osservare)schiavo, servo, che indica  l'azione di chi opera per fornire un servizio a qualcuno, significato che diventa quasi omologo ad assistente sociale, in quanto la radice servus allude ad una dipendenza, in parte simile a quella dell'ad-sistere.

I Servizi Sociali, tra l'altro, non sono solo di esclusiva pertinenza del Servizio sociale, com'è noto, coinvolgono sia i politici, che professionisti appartenenti a varie discipline, in tempi, fra l'altro in cui imperversa la progettualità, e sempre più spesso non si sa chi fa cosa, per la trasversalità dei saperi e per la confusione che a mio avviso hanno creato le varie  Riforme Universitarie.

Infine a proposito di trasversalità, non si possono non registrare alcune assonanze linguistiche, propriamente paronomasie,e cioè somiglianze di suoni tra locuzioni di diverso significato, che rendono, in un panorama già tanto frastagliato e difficile, l'orizzonte di senso sempre più sfumato, in quanto solo apparentemente limita e definisce, ma in realtà crea aree di confusione e sovrapposizione semantica e contestuale.  

 

Basti pensare alle locuzioni che indicano professioni tradizionalmente connotate da saperi pratici, professionalizzanti, per intenderci, e non certo di tipo accademico, in cui resta coinvolto, anche per assonanza linguistica  il significante assistente sociale, professione, un tempo fondata su saperi professionalizzanti, ma ormai approdata da un decennio, viceversa ai saperi disciplinari dell'Università. Elenco di seguito, alcune professioni che presentano assonanze in tal senso:

·        tecnico dell'accoglienza sociale,

·        animatore sociale

·        educatore professionale sociale,

·        assistente familiare

·        portiere sociale, figura quest'ultima, che credo già operi nella regione Lombardia.

 

Se la parola è segno gesto e rinvia all'azione e alla condivisione per un senso comune, non so, in questo bailamme, come si farà a distinguere l'assistente sociale, dall'assistente familiare e dal portiere sociale....”la notte in cui tutte le vacche sono nere”(mi riferisco con questa espressione alla polemica tra Hegel a Schelling, che aveva portato il  Primo nella Prefazione aggiunta alla Fenomenologia dello Spirito, a paragonare  l'Assoluto schellinghiano, unità indistinta di natura e spirito, o di soggetto e oggetto,  “ad una notte in cui tutte le vacche sono nere”)

Ogni volta che usiamo una parola per nominare una cosa, è chiaro che il rapporto tra il nome e la cosa nominata è arbitrario.

Le parole sono segni arbitrari  e convenzionali che vengono strutturati e destrutturati, secondo la sintassi logica della lingua, in cui percezioni e significati si sviluppano  evolvono e mutano, secondo  i bisogni emotivi e culturali degli esseri umani funzionalmente ad abitare in maniera il più possibile  armonica il mondo.

Bateson e Jackson rilevano giustamente che “non c'è nulla di specificamente simile a cinque nel numero cinque; non c'è nulla di specificamente simile a un tavolo nella parola tavolo.”[7]

Ciò significa che solo attraverso una convenzione semantica della lingua italiana le parole, sono segni a cui attribuiamo un significato condiviso, fuori dal quale non esiste nessun altra correlazione tra una parola e la cosa che la parola rappresenta.

 

 

Come dice Umberto Eco: “Siamo come soggetti, ciò che la forma del mondo prodotta dai segni ci fa essere......Solo la mappa della semiosi, come si definisce a un dato stadio della vicenda storica (con la bava e i detriti della semiosi precedente che si trascina dietro) ci dice chi siamo e cosa (o come ) pensiamo.

La scienza dei segni è la scienza di come si costituisce storicamente il soggetto”[8]

A quest'ultima espressione si riferisce  U.Eco, quando conclude citando un pensiero di Peirce, in verità molto significativo, perchè ci fa riflettere su quella che è la condizione fondamentale del nostro essere nel mondo e cioè quella di  ricordarci che “Di fatto, dunque, gli uomini e le parole si educano reciprocamente:ogni accrescimento di informazione in un uomo comporta ed è comportato da un corrispondente accrescimento di informazione di una parola.

 La parola o segno che l'uome usa è l'uomo stesso”.[9]

Ancora una conseguenza, anche se la cosa in sé in senso assoluto è fuori dalla nostra portata e ciò che è considerato razionale varia col tempo, con il luogo, come la storia e l'etnologia ci insegnano, tuttavia,  esiste una tendenza verso il pensiero ragionevole, che ci consente di guidare le nostre percezioni  e il nostro pensiero in modo da costruire un mondo vivibile e comprensibile per poterlo abitare:un esempio è dato dal fatto che la razionalità della comunicazione è garantita e legittimata dal grado di interazione e di condivisione tra i parlanti.

Alla fine se  il linguaggio costruisce il mondo, noi viviamo nel linguaggio, e se la scienza dei segni è la scienza di come si costituisce storicamente il soggetto, l'essere umano è un generatore di significati, che sono in costante mutamento ed esistono al'interno di una realtà co-creata che evolve, come dicono Anderson e Golishian.[10]

Così l'accordo tra gli esseri umani è costantemente aperto a rinegoziazioni, che mutano ed evolvono in un processo incessante, di co-educazione tra i primi e i significati prodotti da loro stessi.

 

 

 Per quanto detto, è impensabile mantenere la locuzione nominalizzante “assistente sociale”, sia sul livello della classe L 39  che ancor peggio della LM 87, perchè significa mantenere “la notte delle vacche nere “, sull'equivoco   non solo del non sapere chi fa cosa, ma anche continuare a riferirsi ad un professionista, che non ad-siste più, (si rammenta, che la locuzione assistente,  struttura  il senso  della professione in quanto  l'aggettivo sociale, solo in subordine ne costituisce il contrassegno nel modo..ma non il fondamento di senso) ma semmai si prende cura, progetta,  organizza, ed inoltre ha acquisto un  suo logos, che non lo costringe certo a dipendere dal titolare di una fantomatica attività principale, perchè è sempre più vicino, e questa volta veramente, al suo collega social-worker americano.

In questa nuova prospettiva anzi potrebbe addirittura essere nominato tale,

soprattutto nel contesto del livello LM 87, conservando la dizione dottore in servizio sociale sul primo livello  L 39,  se non si riesce a co-costruire un altro neologismo, per esempio socio-nomo, sempre riguardo al livello LM 87, come proposto già dalla dott.ssa Concetta Alario, proposta che ho riportato nell'articolo Assistenti Sociali e Protolinguistica, citato nell'incipit, e dalla medesima poi, inoltrata formalmente all'Ordine Professionale degli Assistenti Sociali Della Regione Sicilia

Mutare una denominazione, significa lanciare un messagio forte sul cambiamento avvenuto per questa professione. Viceversa, mantenendo l'attuale dizione nella conversazione quotidiana, risulta difficoltoso, comunicare l'idea dell'assistente sociale  laureato, in quanto passa  non non solo l'incongruenza linguistica ma anche quella pragmatica, in quanto, non risulta a livello del senso comune, che l'ad-sistere appartiene ad un ordine logico  immediatamente  evocatore di cornici accademiche, che si attagliano ad  una laurea.

Mantenendo lo statu quo, la professione di che trattasi, rimane, purtroppo,  ancorata ad un limbo, che l'enunciazione linguistica con cui inopinatamente la si continua a connotare, certamente ritarda sul livello simbolico quella rinegoziazione di senso, che sola consente, se il linguaggio costruisce il mondo, una sua collocazione, in parità con altre professioni contigue.

Come dice Confucio:“La Porta è la via d'uscita. Perchè nessuno vuol servirsene? Perchè, non sappiamo liberarci dall'arroganza del significante?

 

                                                              

 Bibliografia

 

 

Anderson H. Golishan H. I sistemi umani come sistemi linguistici:implicazioni per una teoria clinica, in Connessioni, vol 2  (vecchia edizione)

Bateson Gregory, Jackson, Don D “Some Varieties of Patthogenic Organanization”In Disorders of Comunication a cura di David McK. Rioch, vol.42 Publications Association for Research in Nervous and Mental Disease,  1964

 

Umberto Eco, Semiotica e Filosofia del linguaggio:  Segno e inferenza, Einaudi, Torino 1977.

Cecilia Edelstein, Il Counseling Sistemico Pluralista, Erickson 2007 

Gadamer H.G.Verità e Metodo, Bompiani, Milano 1975

Martin Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1927

Pio E. Ricci Bitti, Bruna Zani, La comunicazione come processo sociale, Il Mulino, Bologna 1983.

 



[1]        2007 Cecilia Edelstein, Il Counseling Sistemico Pluralista, , pag 16 ed Erickson

[2]        Ibidem pag 16

[3]          1977, Umberto Eco,Semiotica e Filosofia del linguaggio  Segno e inferenza, Einaudi, Torino,

[4]   1969 Martin Heidegger Essere e Tempo, Milano, Longanesi 1927

[5]   Gadamer H.G.Verità e Metodo, Milano, Bompiani,1975

[6]   1983 Pio E. Ricci Bitti, Bruna Zani, La comunicazione come processo sociale, pag 95, ed Il Mulino

[7]   1964 Bateson Gregory, Jackson, Don D “Some Varieties of Patthogenic Organanization”In Disorders of Comunication a cura di David McK. Rioch, vol.42 Publications Association for Research in Nervous and Mental Disease,  

 

[8]   1997 Umberto Eco, Segno e inferenza Einaudi Torino pag,.59

[9]   Ibidem pag 59

[10] 1992  Anderson H.e Golishan H., I sistemi umani come sistemi linguistici:implicazioni per una teoria clinica,”Connessioni, vol 2  (vecchia edizione)