Conversazioni n.6 Stampa

Cos'é il cambiamento, se non l’incessante fluire della vita, quel panta rei (πάντα ῥεῖ ) eracliteo, che costituisce la nostra insanabile “coscienza infelice”? Il cambiamento é l'ethos tematico del bel saggio di Laura Formenti “Conoscenza di sé e cambiamento: paradossi e sfide della scrittura autobiografica”, il cui incipit avverte, che c'è da attraversare la selva dello scrivere, processo iniziatico simile alla selva oscura del poema dantesco, per portare “un ordine provvisorio dentro l'apparente caos” con qualche sprazzo di luce. Ma il caos emozionale, non può essere raccontato dalla ragione discorsiva, bensì dai sillogismi in erba del pensiero abduttivo, simili a pennellate, brani di vita, emergenti dalla parola retrospettiva dell'analista: ”Quando la smetterà di parlare come un libro e mi racconterà quello che sente davvero?” e della protagonista: “La teoria che spiega e che vincola, un nuovo paradosso nella teoria del racconto autobiografico. Un susseguirsi di metafore, analogie, per dire che “la vita rimane un territorio inesplorato”, in cui mi sembra, aleggi l'ammonimento batesoniano a non avventurarsi su quel terreno dove gli angeli esitano a metter piede.

L’autobiografia, quindi, impegna la memoria retrospettiva tra storie vissute e storie raccontate, tra ragione discorsiva e quell'intermittenza del cuore di proustiana memoria, volta ad illuminare opacità del passato, alla ricerca di nuove costituzioni di senso.

Raccontava Francois Mauriac di non essere riuscito a scrivere più di un capitolo sulle sue memorie, perché riteneva che solo il romanzo esprimesse l’essenziale di noi stessi. La finzione non mente, socchiude nella vita di un uomo una porta segreta, attraverso cui scivola fuori da ogni controllo, la sua anima sconosciuta. In questo caso, la partecipazione straniata sulla scena della memoria retrospettiva, per illuminare verità che il racconto autobiografico non potrà mai soddisfare. Mi chiedo, senza scomodare questioni onomasiologiche, se il genere autobiografico, nel contesto della cura di sé, riguardante il dominio psicologico potrebbe meglio denominarsi romanzo autobiografico ?

Una saga della memoria, quindi alla ricerca di un tempo perduto,inattingibile come quell’identità della giovinezza verso cui è impossibile remigare, che “sembra un invito desiderio volto a riappropriarsi dei sensi (olfatto, gusto, udito) ”affinando i sensi, la memoria e il pensiero critico” per ascoltare il fluire del tempo e il declinarsi degli eventi, verso una “spinta a scrivere legata alla mancanza di qualcosa che si vorrebbe conoscere e possedere, qualcosa che ci sfugge” (I.Calvino). Qualcosa che rinvia all'altro, “la relazione viene per prima, precede” (Bateson).

Laura Formenti dice infatti: “tracciare le coordinate di un'identità sistemica è assai impegnativo [...] richiede una certa dose di presunzione [...] dovrei fare riferimento a me stessa, alla mia unicità [...] Come posso distinguere ciò che mi riguarda come singolo dalle caratteristiche dei rapporti in cui sono immersa?”

E inoltre: “Se tra me e la mia percezione organica del mondo non può non frapporsi sempre l'epistemologia, come non può non frapporsi sempre tra me e la comprensione di me stesso, se la mia epistemologia è il principio che organizza tutta la mia comprensione, allora non sono in grado di capire mai niente” (Bateson).

Ecco il paradosso dell'auto/biografia. Come uscire dal “finalismo cosciente indesiderabile” e dai doppi vincoli? Credo, attraverso una esperienza misterica, misterico, da mistòs, muto, silente, allude a un attraversamento simbolico, eccedente e indicibile,infatti Laura Formenti, significativamente, preferisce al termine cambiamento la parola trasformazione più adatta ad esprimere il genere autobiografico.Trasformazione, infatti, come nell'individuazione junghiana, é significante linguistico che parlando per immagini apre l'accesso alle categorie estetiche del senso: “ci può essere più verità nel mito, nel sogno, che nel racconto di vita. La poesia svela ciò che la prosa occulta” cioè “una partecipazione stupita a questo gioco con regole ignote”, che é la vita.

 

Commento pubblicato nella sezione Conversazioni del n 6 della Rivista Riflessioni Sistemiche