Conversazioni sistemiche n.5 Stampa

La mia attenzione,  in particolare, va al bel saggio di Sergio Manghi,  “Il processo di desacralizzazione. Una lettura di René Girard “. Il saggio, nell’incipit, introduce il contesto argomentativo, cioè la nozione di processo nel pensiero sistemico e  l’embricarsi  del medesimo negli studi girardiani, con una precisazione: la nozione di sistema va riferita unicamente ai fenomeni viventi in generale e umani  in particolare, considerato che esso, tra le sue tanti parti interagenti, ne ha una più peculiare, rappresentata dall’uomo, che non può essere definito attraverso formule. Il processo rappresenta il farsi ininterrotto del sistema, l’evolversi del soggetto umano verso un’infinita circolarità mimetica, che come dice Girard, crea un legame fenomenologicamente indissolubile tra gli esseri umani.

Quest’ultimi, non più figli del Cogito ergo sum cartesiano, ma soggetti emozionali ,sono diretti a cercare il senso della loro vita negli altri, in quanto  una sorta di peccato originale, senza Dio, li condanna  a nascere“desideranti e imitativi”. Il saggio, ripercorrendo le colte intuizioni di R.Girard  vede nella imitazione reciproca ininterrotta, un ineludibile, ansiogeno, circolare con-esserci con l’altro, desiderante e imitativo, complice  un modello mediatore, testimonial compulsivamente seduttivo, evocatore di una mimesi desiderante.

Ma  “Due desideri che convergono sullo stesso oggetto si fanno scambievolmente ostacolo. Qualsiasi mimesis che verta sul desiderio va automaticamente a sfociare nel conflitto.” Infatti,l’infinita circolarità mimetica foriera di un intollerabile instabilità relazionale, compromettendo la stessa sopravvivenza umana, impone  quel criterio selettivo di batesoniana memoria, in grado di sviluppare una relativa stabilità dei processi interattivi.

Come? Secondo Girard,  attraverso il  sacro, le cui  liturgie  si consumano con l’uccisione rituale e condivisa  di un capro espiatorio,  rimedio ad una Noità invasiva e seclusiva, verso un ubi consistam, che fornisca una certa stabilità ai processi interattivi quotidiani.

Infatti, l’uccisione del capro espiatorio salva dall’indifferenziato, dalla crisi, che abolisce gerarchie e differenze, come il grande Shakespeare aveva intuito, per sancire  l’ordine delle differenze, stabilendo  chi è l’escluso,depositario del male  e chi invece può salvarsi.

Il  conflitto scatenato dal desiderio mimetico, come ci suggerisce S.Manghi, si ricollega alla nozione di doppio vincolo di batesoniana  memoria e ai temi sacrificali ad esso connessi, che hanno sia il volto drammaticamente sofferente dello schizofrenico, salvifico capro espiatorio della sua famiglia, sia il volto creativo della poesia del sogno, del mito, descritto dall’epistemologia sistemica.

Sarà l’antropologia nata dai Vangeli, cui la sistemica è debitrice, a disvelare l’innocenza della vittima  e  a stabilire i  limiti e le responsabilità di ciascuno, in modo da “vedere/concepire in tutta la loro complessità i nostri doppi vincoli”.

Questa consapevolezza, impone una revisione  della nozione di sacro, come suggerisce Manghi –Girard,  aprendo la via alla desacralizzazione, come processo infinito, asintoticamente diretto ad una nuova nozione di sacro,  genialmente intuita dall’incompreso Nietzsche con la “sua” morte di Dio, ben lontana , da un inno all’ateismo , lui, che insieme a Kafka, è stato il più disperato dei cercatori di Dio.

Cosa suggerisce uno scenario siffatto? Suggerisce, che le intuizioni mimetiche di Girard, come già ha osservato V.Gallese, potrebbero rappresentare premessa  per  un approccio multidisciplinare allo studio dell’intersoggettività umana. Inoltre, che sarebbe auspicabile, come dice Sergio Manghi,  l’epifania  salvifica di una nuova idea di sacro, evocata da una metanoia, che facendo a meno di capri espiatori, fondi una cultura del terzo incluso e non del terzo escluso, ricordando con Bateson  che “siamo parte danzante di una danza di parti interagenti”. Però“la crisi nella crisi “ quella de “L’epoca delle passioni tristi” non  rinvia forse a  una nube di nebbia che ci illude sulla prossimità di una meta.? In atto, però ” la nube si dilegua e la meta non si vede ancora”.(L.Wittgenstein) .

Questo contributo, riguardante il n. 5 della Rivista telematica "Riflessioni Sistemiche", è stato pubblicato nella sezione Conversazioni della medesima.