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Il Counselor: un personaggio in cerca d'autore

 

   

 

 

Counselling è una locuzione inglese, il cui etimo deriva dal verbo latino consulo-ere , che significa “consolare, confortare, ma anche “venire in aiuto, avere cura, o con riferimento ad un altro verbo latino consulto-consultare, nell'accezione di richiedere il parere di un saggio.

Quanto detto, in sintesi e solo per comodità di discorso, in quanto, già sull'argomento mi sono espressa, in forma molto più esaustiva, nel precedente articolo “Il Counseling (consulenza), in Italia: alcune precisazioni per una condivisione di senso”.

Nonostante la derivazione etimologica con consigliare e consigliere, è necessario ricordare, che la traduzione dei termini counseling e counselor con consigliare, consiglio consulenza, consigliere e consulente, di fatto, non sono assimilabili alla pratica del counseling, in quanto essa vieta il dare consigli,(ciò vale, in molti casi, anche per il setting di tipo psicoterapeutico) così come sancito dai codici deontologici delle associazioni di counseling italiane e internazionali.

Ma riprenderò questo tema, all'interno di un confronto tra il Counseling italiano e quello che viene praticato in altri paesi europei, in particolare il Regno Unito, dove veramente è un'altra cosa, e cioè il counsellor inglese, come vedremo, condivide ben poco con il “nostro counselor,” al punto che l'utilizzazione della medesima locuzione in Italia , a mio avviso è veramente fuorviante, considerato che in assenza di una condivisione di senso, più che mai il nome non è la cosa nominata.

Ma facciamo un po' di storia, prima di andare ai confronti e quindi alle differenze tra le definizioni di Counseling e di counselor utilizzate in Italia e quelle utilizzate in altri paesi europei.

Il Counseling nasce in America negli anni 40, dopo le pubblicazioni di Carl Rogers e Rollo May, entrambi facenti parte di un movimento, fondato sui temi della psicologia umanistica, denominata terza forza della psicologia (alternativa al comportamentismo e alla psicanalisi freudiana) i cui assunti sono l'amore, la creatività, il sé, i bisogni fondamentali di gratificazione e autorealizzazione, la spontaneità, l'autonomia, la responsabilità.

Su questi assunti, com'è facile intuire, i diversi approcci umanistici sono accomunati da alcune matrici fondamentali, quali: la centralità della persona e la relazione con l'altro, infatti è nel rapporto io-tu che si sviluppa l'essere umano, la concezione fenomenologica dell'essere nel mondo dell'uomo, come essere singolo e irrepetibile, la fiducia nella capacità di realizzazione e di crescita dell'essere umano e nella sua capacità di autodeterminarsi. Questa è la cornice semantica, in cui Rogers pubblica “Counseling and Psycoterapy,” dove il cliente viene definito, come colui che presenta la posizione migliore, per fornire indicazioni sui suoi propri problemi e le modalità idiosincratiche per poterle integrare nella sua esperienza personale.

Rogers anzi nel 1950, nella sua opera principale “Client centred therapy”, introduce per la prima volta il metodo del colloquio non direttivo, centrato sul cliente, sostituisce i termini cliente, con paziente e counselor invece di terapeuta, significativamente rivoluzionando, una vecchia asimmetria di relazione tra paziente e terapeuta.


La finalità era quella di ridefinire il potere di quest'ultimo e l'impotere del primo, a cui veniva finalmente restituito il diritto alla competenza e all'autodeterminazione, oltre che alla conseguente depatologizzazione ...dal ruolo di paziente.

Il Counseling è sorto, quindi, su questo impianto teorico e il counselor suo professionista, tradizionalmente deputato alla relazione d'aiuto, era una figura diretta, come dissero Rollo May e Carl Rogers, ad ”assicurare un riconoscimento professionale a tutti coloro che pur non avendo, né volendo, il titolo accademico di psicologo o psicoterapeuta, svolgono un'attività che esige una buona conoscenza della personalità umana.”

Poi Rollo May aggiungeva, che nel caso specifico del counselor, non sarà sufficiente una adeguata formazione teorica, ma occorrerà, che le teorizzazioni siano in parte esperite, attraverso un “training professionale individuale e/o di gruppo”, che garantisca il superamento da parte del counselor, di quella tendenza dell'io ad esercitare un counseling sulla base di più o meno rigidi pregiudizi”.

Ma vediamo, qual'è la situazione in Italia, dove il dibattito nonostante acceso e ricco di contraddizioni, non sembra esitare, a mio avviso, ad una soddisfacente condivisione di senso, vuoi semantica, vuoi istituzionale (chi è e chi fa cosa ), ma le due cose, sono correlate, in ordine alla parole Counselor. Una breve digressione: utilizzo non a caso la nozione di parole, alludendo al fatto che il linguaggio è un insieme complesso di processi, risultato di una data attività psichica, profondamente determinata dalla vita sociale, Per comodità di analisi, esso si distingue in langue e parole. La langue esprime e connota il sistema grammaticale, lessicale e fonematico ed è come diceva De Saussure “qualche cosa che esiste in ciascun individuo, pur essendo comune a tutti e collocato al di fuori della volontà dei depositari”.

La parole è la concreta esecuzione linguistica, l'aspetto individuale del linguaggio, che seppure si articola attraverso le regole della grammatica ,

riflette le scelte personali ed idiosincratiche dei membri di una comunità linguistica.1(la lingua d'uso)

Significativo è il fatto di non essere riusciti a ricodificare, com'è avvenuto in altri paesi europei, detta parole, secondo la lingua d'uso e cioè la nostra, né tanto meno regolamentarne la nominalizzazione ..counselor, personaggio ancora, in cerca d'autore confinato di fatto, più tra le semiprofessioni che tra le professioni....come dovrebbe essere.

Per meglio delineare le contraddizioni,in tal senso, elencherò, più per negazione, che per affermazione- definizione, che cosa non è il Counseling, (anche se mio desiderio è quello di giungere a che cosa veramente è il Counseling, o per meglio dire di poter co-costruire una più chiara e gratificante definizione, che possa essere istituzionalmente condivisa e regolamentata, ...non solo linguisticamente ) visto che sembra questa, la maggiore preoccupazione, riportata nei “sacri testi”, per poi giungere alla reale questione di non definizione di fatto, ma anche istituzionale di questa figura...indistinta.. tra la nebbia. (l'iconografia riportata nell'incipit dell'articolo, vuole proprio, con la forza icastica, che solo ha l'immagine, più della parola, dire tutto questo!)

Infatti, com'è noto, una qualche conferma è stata rappresentata dal fatto che il CNEL(Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, istituito dall'art.99 della Costituzione della Repubblica Italiana) nel 2000, ha elencato il Counseling tra le professioni emergenti.

Potrebbe significare che chiunque si può definire counselor e aprire uno studio professionale? Successivamente, il Counseling è entrato a far parte della Riforma delle professioni intellettuali, approvata dal Consiglio dei ministri nel dicembre 2006 e già approdata per una prima discussione alla Camera dei deputati: da allora più nulla.

Nel nostro Paese, a differenza dei Paesi anglosassoni, dove il counseling comincia ad operare negli anni 30 e 40, esso è approdato alla fine degli anni 60, con i cosiddetti operatori d'ascolto, appartenenti spesso ad organizzazioni con una forte impronta valoriale, che svolgevano un'attività di orientamento e supporto alla persona, all'interno di comunità terapeutiche, associazioni di volontariato, centri sociali: essi, secondo alcuni, sono assimilabili agli attuali counselors.

Di fatto il Counseling, soprattutto da noi, in Italia, risente dell'essere una pratica importata dai paesi anglosassosoni e tra l'altro si scontra con professioni contigue, per le quali forse costituisce una minaccia, ancor più perchè non regolamentato.

Vari i tentativi di definire questa competenza, (ma è una competenza, espressione troppo generica e riduttiva o è una professione?) mutuata dalla tradizione anglosassone, come ho già detto nel nostro Paese, con esiti a mio avviso distorti e poco congrui alle sue origini, con il risultato di una vera e propria confusione e indefinitezza, rispetto alla locuzione inglese.

Secondo alcuni, il Counseling è una psicoterapia breve o minore che cura disturbi non gravi e non strutturati della personalità.

Il prof.Felice Perussia, citato nell'articolo di cui sopra, lo definisce una psicoterapia non clinica, e mi sembra uno dei pochi, che attraverso una lunga articolata ed affascinante disamina, chiarisca il senso di questa professione e le reali difficoltà che ostano alla sua collocazione istituzionale

Su internet alla voce Counseling da Wikipedia, l'enciclopedia libera, detta locuzione viene definita nei termini di” un intervento socio-psico-pedagogico, e non psicologico in senso stretto e dunque non di esclusiva pertinenza dello psicologo.”

In parecchi testi, viene condiviso l'uso del termine cura, come impegno, interessamento, attenzione e riguardo alla persona, da non confondere, con

l'approccio psicoterapeutico, volto a perturbare le premesse epistemologiche del cliente.

Viene sottolineato anche, in parecchi testi, che è un'area di competenza psicologica confinante, con il counselling può essere quella del sostegno psicologico, anche se non può sovrapporvisi, nè sostituirlo, al massimo contenerlo, quando l'operatore possiede competenze di questo genere (significa che attiene solo alla professionalità dello psicologo counselor?Non so?..)

In alcuni testi, quando si parla di Counselling, spesso lo si fa per negazione o sottrazione: il Counselling è un intervento non clinico, non terapeutico, non assistenziale, non pedagogico e così via, lasciandone oscura la natura e il senso. Ma cos'è?...

Nella mia tesi, dalla quale ho tratto un saggio, in corso di pubblicazione(v.sito www.counsellingrp.net) questo ragionamento l'ho definito un entimema, e cioè un sillogismo apparente, incompleto, così come viene, definito in Retorica, in modo, come dice Aristotele, che non bisogna nè trovare il ragionamento da lontano (troppo lungo) né svilupparlo totalmente, troppo prolisso, lasciando a chi ascolta il compito di completarne il senso, come se fosse suo compito concludere un ragionamento in modo apparentemente logico. Aggiungo io, giocando sul senso di inadeguatezza, quasi di colpa che si prova a sentirsi non definiti, simulacri, e per questo nella posizione down, di chi ritiene di dover accettare un ragionamento paralogico, di cui forse non ha nemmeno consapevolezza.?

Così alla fine, nonostante le ampie ed articolate analisi discorsive su questa figura, fatte da vari testi, restano aperti interrogativi e perplessità, rese ancor più inquietanti dal fatto, che proliferano varie Scuole di Formazione al Counseling,( alcune Università prevedono addirittura dei master, ovviamente per laureati), con criteri di ammissione molto diversi, che vanno da un qualsiesi tipo di laurea, ad un semplice diploma di scuola media superiore, titolo di accesso, giustamente, fortemente contestato, ma che sembra sia accettato, per la necessità di allinearsi alle ultime direttive europee, in tema di formazione professionale. Infatti dette direttive, richiedono percorsi professionalizzanti più fruibili da parte degli allievi post diploma.

Ma il percorso professionalizzante post diploma è diverso dal percorso post lauream, per definizione, (la cornice professionalizzante e la cornice accademica appartengono a due diversi ordini logici, perchè diversi sono i contesti di apprendimento e quindi gli obiettivi formativi e il destino istituzionale ) infatti il background formativo di un laureato in una determinata disciplina, ha già una sua connotazione-definizione che prefigura specifiche professioni.

In quest'ottica, si ritiene che dovrebbero essere previsti, percorsi differenziati, per laureati e per diplomati, con connotazioni istituzionali diverse ?..Non lo so..... In atto sembra che ci troviamo ... nella “notte in cui tutte le vacche sono nere”.( Con questa espressione, che mi sembra abbastanza calzante, mi riferisco alla polemica sorta tra il filosofo F. Wilhelm Joseph Schelling e G. Wilhelm Friedrich Hegel, il quale paragonava l'Assoluto schellinghiano,nella Prefazione aggiunta alla Fenomenologia della spirito, unità indistinta di natura e spirito, o di soggetto e oggetto a “una notte in cui tutte le vacche sono nere”)

Abbiamo visto cosa succede in alcuni paesi europei, nell'articolo, che ho già citato precedentemte e già pubblicato, ma lo ripeto per comodità di discorso, come i cosiddetti counselor hanno utilizzato altro codice linguistico, per definirsi in maniera conforme alla loro lingua d'uso,ma anche a diverse posizioni istituzionali, in cui alla chiarezza linguistica corrisponde chiarezza normativa ed istituzionale: l'effetto non può che essere la condivisione di senso tra i parlanti, rispetto a  chi fa cosa, e soprattutto a chi deve chiedere cosa.( l'eventuale cliente sa cosa deve chiedere e a chi deve rivolgersi)

In Germania, i counselors, appartengono significativamente insieme ai coaches e ai supervisori alla professione di “heilpraktiker fur Psychotherapie”,

che significa “pratica di psicoterapia orientata al benessere” (probabilmente sulla scia del movimento sorto negli anni 70, fondato sulla cosiddetta psicologia del benessere, con il passaggio da un modello centrato sulla malattia ad un modellio orientato alla salute dell'individuo).

In Austria, il Counseling è regolamentato dalla legge federale. Esiste un albo professionale al quale sono iscritti circa 1.500” Lebensberater “(Il termine austriaco per counselor) che significa “consigliere di vita, di esistenza”.

In Svizzera il Counseling o “Psycologische Beratung”, che significa “consigliere psicologico”, viene gestita dalla FSP e dalle leggi cantonali, ma è in fieri un'associazione dei counsellors, separata dalla federazione degli psicologi.

Un discorso a parte va fatto per i counsellors in Inghilterra e in Irlanda che sono uniti, e ciò mi sembra molto significativo, insieme agli psicoterapeuiti in unica associazione, rispettivamente, la BACP,(British Assic for Counselling and Psychotherapy) che conta 6000 membri e la IACP che conta 2500 associati.

Vorrei riportare, senza commenti, una comunicazione da parte di una counsellor italiana , che opera in Inghilterrra, che ho trovato nel Forum della Sico, a riprova come detta locuzione, trasferita, senza un appropriata traduzione nella nostra lingua, come invece è stato fatto da altri paesi europei, sia veramente fuorviante e confondente.

La lettera riporta la data del 24/3/2005, utente Tiziana e-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. , (ho provato ad inviarLe una mail, ma non credo che l'indirizzo di posta elettronica sia più attivo, perchè non mi ha risposto) la trascrivo testualmente...”Lavoro come counsellor( si rammenta che detta locuzione , nel Regno Unito si scrive con due l) a Londra da più di tre anni, e devo dire che sono rimasta scioccata dalle assurdità scritte in Italia


riguardanti il “counselling”.Innanzitutto il counselling non è un sottoprodotto psicologico, ma un tipo di intervento psicologico, a fianco della psicoterapia e psicologia. In Inghilterra, ci sono astati recentemente svariati dibattiti riguardanti la similarità tra counselling e psicotrerapia.

La recente conclusione constata una sottile demarcazione tra le due:si parla di una durata più lunga dei corsi di formazione per la psicoterapia, sebbene oggi un normale corso di formazione in counselling dura tra 1 3 e 1 4 anni;inoltre, si denota una preferenza a favore della psicoterapia per casi di disturbi gravi della personalità, sebbene oggi i counsellors sono impiegati nelle strutture ospedaliere e sono utilizzati come sostegno psicologico parallelo al lavoro svolto dallo psichiatra.

Di conseguenza, la maggior parte dei counsellors in Inghilterra, usa il termine counselling e psicoterapia intercambialbilmente. Questa affermazione può far rizzare i capelli a qualcuno, ma ciò sta nel fatto che c'è una sorta di ignoranza da parte dei miei connazionali su come il counselling si sia sviluppato e affermato qui in Gran Bretagna. Il counselling Britannico è molto diverso da quello italiano:innanzitutto non è solo un intervento a breve termine (il cosidetto short-term counselling)ma per la maggior parte dei casi, counsellors lavorano con i clienti per un periodo che varia da un anno a più anni. Personalmente, ho avuto clienti con cui ho lavorato più di tre anni. Inoltre, il counselling, qui viene definito come una forma di intervento terapeutico: il termine terapia non è solo confinato nell'ambito della psicologia, ma è utilizzato comunemente da tutte le figure professionali per definire il nostro intervento.

Un intervento terapeutico che non si avvale solo delle teorie sistemiche e relazionali, ma utilizza un vasto repertorio delle teorie psicologiche esistenti.Il mio personale indirizzo di base è umanistico: mi rifaccio alle teorie di Carl Rogers e a secondo dei problemi portati dal cliente, utilizzo anche tecniche della Gestalt e TA. Sono presenti anche counsellors che si rifanno alle teorie psicodinamiche (Winnicot, Fairban, etc) e counsellors che usano CBT, e tanti altri ancora.Provenendo da una laurea in psicologia, posso affermare che i corsi di formazione in counselling, sono soddisfacenti e affrontano in profondità tutte le teorie psicologiche esistenti.”

La lettera conclude, dicendo, che la figura professionale del counsellor (appellativo in inglese con due l, a differenza di quello angloamericano che, in genere si usa in Italia con una sola l) è bene affermata in Inghilterra e non incontra tanta resistenza da parte di altri professionisti, come in Italia, dove probabilmente è ancora un fenomeno giovane...

Speriamo che sia solo questo.!...

Ho riportato testualmente la lettera di Tiziana, solo per aprire un possibile dibattito rispetto alle poche somiglianze e alle molte differenze tra il counsellor inglese e il counselor italiano.

Allora, mi chiedo, a questo punto, se sia il caso di trovare altra locuzione per denotare ma sopratutto per connotare questa figura professionale nella nostra lingua, così come si è definita nel nostro costume politico-sociale, in conformita a quanto è avvenuto in altri paesi europei, o viceversa, avvicinarci al modello inglese?

Per quanto mi riguarda, dopo questa analisi discorsiva, in cui a mio avviso ho messo in rilievo, l'insostenibilità linguistica oltre che pragmatica della denominazione di counselor attribuita a questo professionista,(tanto lontano dal suo collega inglese, come ho dimostrato) il cui background, rinvia ad una competenza mututata da più saperi, che vanno dalla psicologia, alla pedagogia, dalla antropologia, alla linguistica, si ritiene che il medesimo debba essere nominato attraverso una locuzione dalla quale si possa evincere con immediatzza e con chiarezza chi è, per consentire, senza equivoci l'orientamento della richiesta e quindi.... chi parla a chi.


Ma ciò non basta, certamente , si rende necessario uniformare i percorsi formativi,(i tempi del training, a chi è diretto e quindi chi fa cosa ) come già è avvenuto con le disposizioni normative del 1994 sulle Scuole di psicoterapia, aperte solo a medici e psicologi.

Ritengo che l'utilizzazione della locuzione consulente psico-pedagogico, e/o socio-pedagogico, o ancora consulente relazionale, che mi sembra la più adeguata, non crei alcun equivoco, in quanto, per se stessa, la funzione orientatrice del cosiddetto counselor (a parte l'assonanza linguistica con consulente, che passa sicuramente nel messaggio analogico) sia ineliminabile, al di là di ogni entimema volto a negarlo.

D'altro canto le locuzioni di cui sopra verbalizzano ed alludono ad un “orientamento” che potrebbe essere meglio negoziato con il cliente, cosi come richiesto dall'epistemologia sistemica sulla cocreazione dei significati, e non solo da quella...Il contrassegno del modo della consulenza sarà ulteriormente specificato degli aggettivi qualificativi scelti, come ho detto, e cioè “psico pedagogico”,” socio pedagogico” , “relazionale”, che non credo possano creare confusione con altre professionalità. Potrebbe essere un inizio, per uscire dalla notte delle vacche nere!

Infine per il principio di non contraddizione, se non si definisce con chiarezza chi è questo professionista o questa competenza, perchè nemmeno questo è chiaro, ...non potremo nemmeno definirne l'identità, e cioè , “è impossibile che la stessa cosa inerisca e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto.....Nessuno può ritenere che la stessa cosa sia e non sia, come alcuni credono che dicesse Eraclito.”,2 e quindi se non sappiamo se A è uguale a A, non possiamo dire perchè non è B. Questa è la mia opinione, sempre confutabile e comunque sempre aperta alla co-creazione di nuove cocostruzioni di senso.

1Pio E. Ricci Bitti e Bruna Zani, 1983, La comunicazione come processo sociale, ed Il Mulino

2(Aristotele, Metafisica, a cura di A.Viano, Torino, UTET)