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va3e8920 Dott.ssa Rosanna Pizzo consulente relazionale (counselor), esperto dell'ascolto e della comunicazione e del processo di aiuto alla coppia, alla famiglia, al singolo e all'adolescente.

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Le persone si lasciano convincere più facilmente dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto piuttosto che da quelle scaturite dalla mente di altri.

Blaise Pascal

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I neuroni specchio:dal cognitivismo alla mente incarnata.Verso una Koinè transdisciplinare. PDF Stampa E-mail

 

Woody Allen nel film Zelig (1983)

”L' epistemologia convenzionale che chiamiamo “normalità”, esita a rendersi conto che le proprietà sono solo differenze che esistono solo nel contesto solo, nella relazione. Noi astraiamo dalla relazione e dalle esperienze di interazione per creare oggetti e dotarli di caratteristiche. Allo stesso modo esistiamo ad ammettere che il nostro stesso carattere è reale solo nella relazione.

Gregory Bateson

 

La locuzione transdisciplinarità venne coniata da P. Delattre, nel 1973,. che distingueva la pluridiscipinarietà diretta a concettualizzare specialità miste, mutuate dall’incontro tra

discipline, quali ad esempio la biomeccanica, la biochimica la psiconeuroimmunologia e i modelli propriamente transdisciplinari, che mirano a creare, invece, un linguaggio unico con i contributi

di un numero più o meno grande di discipline, “le quali resterebbero altrimenti rinchiuse nei loro gerghi.”[1]

L’ approccio, che ne deriva, è quello di un’ epistemologia diretta a creare una nuova sintassi, in modo da, alchemicamente unificare i contenuti desunti da altre discipline e una semantica altrettanto originale e trasversale rispetto ai vari oggetti disciplinari, compresi da detto modello.

In altri termini, si vuole costituire una Scienza universale, una sorta di koinè dialektos,

una lingua comune, denominabile transdisciplinare.

Praticamente il sogno di F. Bacone e cioè, “disegnare una scienza capace di contenere tutti quegli assiomi che non appartengono ad alcuna delle scienze particolari, ma possono competere a più d’una nel medesimo tempo”[2]

Questo modello concettuale, nel suo rinviare ad un approccio alla complessità , si attaglia in particolare alla Teoria dei sistemi, di cui indicheremo alcuni assunti teorici fondamentali.

Il mondo è un sistema integrato di parti, .che danno luogo ad un insieme diverso dalla somma delle medesime...”.Siamo parte danzante di una più ampia danza di parti interagenti,” osservava Gregory Bateson, una danza che concorriamo dialetticamente a fare, disfare, costruire in un inestricabile intreccio.

I sistemi sono in continuo mutamento e concetti come non equilibrio, instabilità, non linearità, indeterminazione, connotati negativamente dalla scienza tradizionale, possono portare, come

dice Ilya Prigogine, scienziato di origine russa, premio Nobel nel 1977 per la chimica, all'emergere spontaneo di un ordine, che è il risultato di effetti combinati dell'irreversibilità,del non equilibrio, degli anelli di retroazione e dell'instabilità .

Anzi Prigogine ha dimostrato che nell'incremento del disordine si verifica una rielaborazione creativa. Ne consegue che i sistemi viventi nei momenti di peggiore disordine possono rigenerarsi

e trovare soluzioni più funzionali e creative: il vincolo può diventare una risorsa.

Non a caso Prigogine, insieme a Francisco Varela e ad Humberto Maturana hanno fornito un grosso contributo alla scienza della complessità, studiando alcune discipline quali fisica, chimica, ecologia e scienze sociali, come sistemi tra loro interconnessi. Il concetto di interconnessione nel contesto del nostro discorso è quindi fondamentale.

Tutto ciò che è detto, è detto da un osservatore, sempre ricorsivamente connesso al sistema che osserva. Il mondo come noi lo conosciamo è una nostra invenzione, per cui la realtà è una nostra invenzione (Von Glaserfeld )

Conseguentemente come dice H.Von Foerster “quando si parla di sé ,utilizzando la parola io si produce una magia. Ci si crea creandosi. Io è l’operatore e anche il risultato dell’operazione”[3]. Però, purtroppo la specializzazione della conoscenze, la separazione, per non dire la compartimentazione delle professioni, strutturate su ethos disciplinari molto differenziati, ha generato chiusura ed autoreferenza.

Inoltre, un problema di non poco conto, è rappresentato in particolare dalla difficoltà delle scienze “empatiche”, del Verstehen (comprendere) o discipline umane (storiche o dello spirito), di dialogare con le discipline esplicative o delle scienze della natura dell’Erhlaren (spiegare), in una Tradizione come la nostra, la cui configurazione conoscitiva, di matrice fisico-matematica, impedisce, che modelli scientifici non oggettivi, siano riconosciuti validi, e ciò a dispetto di tutte le tesi falsificabiliste.

L’approccio alla Trandisciplinarietà, allora, richiede l’uscita dall’idea di disciplina tramandataci da Aristotele, ancora molto viva , come scienza indissolubilmente legata al proprio insegnamento, che condanna in un certo senso all’autoreferenza, tant’è che egli così la connotava .”L’argomento didattico differisce da quello dialettico:è necessario che colui il quale insegna non interroghi, ma porga egli stesso chiarimenti” altrimenti non potremo mai comprendere che “i disaccordi tra gli osservatori , quando non sorgono da banali errori logici all’interno dello stesso versum, ma dal fatto che gli osservatori si trovano in versa differenti, dovranno essere risolti non pretendendo un accesso privilegiato a una realtà indipendente, ma attraverso la creazione di un versum comune tramite la co-esistenza in reciproca accettazione.“[4].

Il dialogo comunque , per quanto difficile, credo sia aperto. Riporterò un esempio in tal senso senza alcun commento.

Il primo assioma della Pragmatica della comunicazione umana - non si può non comunicare, il cui capostipite fu Paul Watzlawick, uno psicologo austriaco naturalizzato statunitense, recentemente scomparso, si fondava sull ’idea, che la

’attività o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio:influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere e quindi, comunque ci si sforzi… non si può non comunicare.[5]

Giacomo Rizzolatti, il neuroscienziato italiano, che lavora a Parma con un équipe internazionale, ha scoperto nel 1992, i cosiddetti neuroni specchio o mirror: essi sono adiacenti ai neuroni motori, fanno sì, che le aree del cervello preposte al movimento, comincino già ad attivarsi, quando vediamo qualcuno compiere un certo gesto.

I neuroscienziati hanno rilevato, per caso, questa rete neurale senza fili nel 1992, mentre erano intenti a tracciare una mappa dell’area sensomotoria del cervello della scimmia, usando elettrodi talmente sottili, da poter essere impiantati nelle singole cellule cerebrali , per poter vedere quale si illuminava durante un movimento specifico.

Gli scienziati si accorsero che alcuni neuroni si illuminavano quando la scimmia afferrava qualcosa, mentre altri neuroni s’illuminavano quando la faceva a pezzi. .

Ma la scoperta più sensazionale avvenne, quando uno degli assistenti ricercatori, tornò dopo una pausa mangiando un gelato. Gli scienziati si accorsero, che si illuminavano determinati neuroni, quando la scimmia osservava che l’uomo portava il cono alle labbra.

Ma essi rilevarono, anche, che quando la scimmia osservava un’altra scimmia o uno dei ricercatori che compiva un certo movimento sembrava si riattivassero un certo tipo di neuroni.

I neuroni specchio dopo essere stati scoperti nelle scimmie sono stati individuati anche nel cervello umano

Infatti, è stato constatato con l’utilizzazione di un elettrodo della grandezza di un raggio laser, attraverso il quale è stato monitorato un singolo neurone di una persona cosciente,che esso si è attivato sia quando la persona si aspettava il dolore, (una puntura di spillo)sia quando vedeva qualcun’altro subire una puntura di spillo:un’istantanea neurale dell’empatia primaria in azione.

La ricerca sta dimostrando ,che detto meccanismo di rispecchiamento non è l’espressione di un riflesso meccanico di tipo pavloviano, ma è modulato e condizionato dalla storia idiosincratica dell’individuo e quindi dalla persona ,che possiede quei particolari neuroni specchio nel suo cervello.

Basti l’esempio di un esperto danzatore, che vede il filmato di un balletto: è chiaro, in questo caso, che il grado di attivazione di questo meccanismo neuronale, è molto più potente, di quello che si verifica nel cervello di una persona .che non possiede quel grado di competenza motoria.[6].

Molti neuroni specchio agiscono nella corteccia premotoria, che governa una serie di attività

come parlare, muoversi, o semplicemente avere l’intenzione di fare qualcosa.

Poiché essi sono adiacenti ai neuroni motori, fanno si che le aree del cervello preposte al movimento cominciano già ad attivarsi quando vediamo qualcuno compiere un certo gesto.

Quando ripassiamo mentalmente un’azione, (facciamo la prova di un discorso o ripassiamo un gioco o un allenamento per un’attività sportiva) nella corteccia premotoria si attivano gli stessi neuroni che entrerebbero in gioco, se dovessimo realmente pronunciare quel discorso o attivarci per l’attività sportiva.

In altri termini, simulare un atto nel cervello, equivale a compierlo, tranne che siamo impossibilitati da ragioni neurologiche.

E’ stato osservato sottoponendo alcuni volontari all’ fMRI (Risonanza magnetica funzionale),che nei medesimi mentre guardano un video di una persona sorridente o corrucciata, si attivano le stesse aree cerebrali, in gran parte identiche a quelle che entrano in gioco nella persona protagonista di quella particolare emozione.

Da sottolineare, che i neuroni trovati in area premotoria , nella superficie mediale del lobo frontale, nel regolare la nostra intenzionalità motoria, svolgono un ruolo importante nell’impedirci di mimare automaticamente i gesti che vediamo compiere..

Inoltre i neuroni specchio si dispongono in maniera diversa , secondo se ci relazionamo con qualcuno che appartiene o meno alla nostra cultura.

Capisco, in altri termini, l’azione di un altro, creandone una sorta di calco nel mio cervello, una simulazione delle azioni altrui per meglio comprenderle, non certo per una loro pappagallesca imitazione. Questa peculiarità dei neuroni specchio, ci impedisce di diventare come Zelig.[7]Ma chi è Zelig? Si rammenta, che Leonard Zelig è il personaggio creato da Woody Allen, nel film omonimo del 1983, vittima di una ignota malattia, che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti, in conseguenza del contesto in cui l'individuo si trova. Un uomo,quindi, che non ha un sé, né una personalità, semplicemente l'immagine proiettata degli altri, uno specchio che restituisce alle persone la propria immagine.

Bruno Bettelheim ,presente nel film, nel ruolo di sè stesso, fornisce il seguente commento: "Se Zelig fosse psicotico o solo estremamente nevrotico, era un problema che noi medici discutevamo in continuazione. Personalmente mi sembrava che i suoi stati d'animo non fossero poi così diversi dalla norma, forse quelli di una persona normale, ben equilibrata e inserita, solo portata all'eccesso estremo. Mi pareva che in fondo si potesse considerare il conformista per antonomasia"».

È in tale accezione di personalità adattivamente camaleontica, di trasformismo identitario dipendente dal contesto ambientale, che è stata coniata in psichiatria la Sindrome di Zelig , ZeligSindrome o Zelig lihe Sindrome. Un robopatico, avrebbe detto J.L. Moreno, se non un normopatico, affetto quindi dalla patologia della normalità…e non è un paradosso!

Non a caso i neuroni specchio hanno un ruolo essenziale nella modalità di apprendimento dei bambini, infatti l’apprendimento per imitazione è una delle principali vie di sviluppo infantili .

Giacomo Rizzolatti spiega,inoltre,  che i neuroni specchio,  ci permettono di captare le menti altrui, non attraverso il ragionamento concettuale, bensì tramite la simulazione diretta,con la percezione non con il pensiero.

Egli dice che ai bambini autistici il mondo delle intenzioni e delle emozioni altrui è precluso, per cui il ventaglio dei significati di un gesto è ridotto ad un’unica interpretazione, cioè un gesto banale , come allungare una mano per porgere una mela, colmo di mille possibili significati , si blocca ad una sola interpretazione.

Rizzolatti ritiene, che si sia inceppato, non rotto il meccanismo dei neuroni specchio

La scoperta dei neuroni specchio ha fatto si che nei laboratori di Parma, si affacci gente di teatro che si chiede come può uno sguardo o il gesto di allungare una mano, o l’intonazione di una vocale  provocare tanti tipi di risonanze nel nostro cervello.

Lo stesso Rizzolatti riferisce, che con un gruppo di giovani attori del Piccolo hanno fatto uno studio sui mille significati del porgere una mela.

L’attore muove i suoi muscoli e lo spettatore attiva i suoi neuroni specchio, per interpretare il significato del gesto.

Quale intenzione e sentimento c’è dietro, da quale possibile rapporto sono legati donatore e ricevente ed infine quali saranno gli effetti dello scambio?.

Peter Brook ha osservato ironico:”con i neuroni specchio i neurologi hanno scoperto quello che gli attori avevano capito da sempre”.

E forse l’aveva compreso anche Aristotele, che pietà e terrore generatrici della famosa catarsi nello spettatore, che assisteva alla tragedia agita dagli attori, non era altro che quel magico e ineffabile legame cervello-cervello, attivato dai neuroni specchio, che avrebbe acceso nel primo lo stesso sentimento degli attori protagonisti. Altro che quarta parete!.

Purtroppo, come dice il bell’articolo pubblicato sul n.3 della rivista telematica- Riflessioni sistemiche, già citato, il conflitto nella scienza si presenta come problematica molto complessa, in quanto richiede il passaggio dalla centralità del cognitivismo e delle scienze cognitive classiche, alla rilevanza delle scoperte operate attraverso l’approccio delle neuroscienze cognitive, per comprendere cosa significa essere umani.[1]

Purtroppo , si tratta di una rivoluzione, in cui le opposizioni sono molto forti , perché strenuo è il tentativo di difendere il paradigma mentalista e cognitivista, in quanto, aggiungo io, tutto si gioca sull’ordine del discorso di foucaultiana memoria, che detiene il potere sovrano di stabilire chi ha diritto al logos, alla parola che conta, derivante, “dai decenni di tacito consenso di cui ha goduto il cognitivismo, assumendo i caratteri di one best way in psicologia e pervadendo l’editoria e i dipartimenti e le carriere universitarie.” [2].

Così, un ottuso mentalismo legato all’approccio cognitivista, continua , a separare la res cogitans dalla res extensa e quindi il cognitivo dal corpo , dalla cultura, dalla relazione, dall’emotivo, dall’affettivo,..nonostante la ricerca, come abbiamo visto, dica altro, ma per i fatti peggio per loro, diceva Umberto Eco.. [3]

Edmund Husserl, ( 1859 /1938) filosofo e matematico austriaco, lo aveva già detto tanto tempo fa: ”Gli spiriti sono qui, dove sono i corpi, nello spazio e nel tempo naturali, ogni volta e fintanto che i corpi sono corpi viventi.”.[4]

Esistono, ormai, fondamenti incontestabili, legati alla ricerca operata dalle neuroscienze cognitive e, senza scadere nella neuromania, ( Rizzolatti, Sinigaglia ,2006) che informano, anche chi non vuole saperlo, che la nostra mente è una mente ineluttabilmente incarnata e che tra mente e corpo non esiste alcuna scissione.

Il cervello, non è una scatola magica, dove è dislocata l’attività intellettiva, della cognizione, dello spirito, dell’anima, ma solo una delle parti che definiscono il nostro essere incarnati.

In altri termini, e questo lo aveva già detto la fenomenologia, bisogna muovere dal fatto che esiste un legame vincolante ed ineludibile tra cervello-corpo-mondo, al punto che se non lo si comprende si commettono esiziali errori di ordine logico. [5]

Conseguentemente, per quanto detto, la nostra mente è situata nella relazione con gli altri, al punto, che possiamo dire che “per fare una mente ce ne vogliono almeno due” e che la mente relazionale è una realtà che plasticamente risponde ai contesti nei quali si declinano le relazioni[6]. E ciò, a dispetto di quanto continuano a pensare i cognitivisti..


 

[1] Ugo Morelli Carla Weber Op. citata pag39

[2], ibidem. pagg.39,40

[3] Ibidem pag 40

[4] Edmund Husserl , Die Krisis der europaischen Wissenschaften, XXII Beilage in Umberto Galimberti , Il Corpo, pag 64, ed Feltrinelli, 1994

[5] Ugo Morelli Carla Weber, op.citata pag .41

[6] Ibidem ,pag 40.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


[1] P. Delattre, in Enciclopedia Einaudi, ad vocem Disciplina-Discipline

[2] 1965, F. Bacone, trad italiana , in Opere filosofiche , pag 148, Bari, Laterza

[3] H. Von Foerster, in Sistemica, Voci e percorsi nella complessità ad vocem Io/Noi pag.450

[4] Ibidem pag. 212 ad vocem Conflitto

[5] 1971,Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della Comunicazione Umana, Roma, Astrolabio

[6] Riflessioni Sistemiche , n.3, Ottobre 2010,Conflitto della conoscenza Vincoli e possibilità dell’interdisciplinarità-Ugo Morelli-Carla Weber , Rivista telematica consultabile su internet

[7] ibidem